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Violenze domestiche. Non siamo all'anno zero, ma dobbiamo dimostrarlo

Renato Balduzzi giovedì 6 aprile 2017
Non ha suscitato particolare eco mediatica la notizia dell'apertura, presso il Csm, di una pratica avente per oggetto la generalizzazione sul territorio nazionale delle buone prassi sperimentate, presso alcuni uffici giudiziari, in procedimenti riguardanti gravi maltrattamenti in famiglia (a differenza di quanto accade a proposito di dichiarazioni o comportamenti estemporanei e problematici di singoli magistrati).Se guardiamo ai vantaggi per il buon funzionamento della giustizia e l'aumento della fiducia dei cittadini verso di essa che possono derivare da decisioni del Csm in tema di violenze domestiche, un supplemento di attenzione si impone.
L'attuale richiesta di apertura pratica prende origine dalla sentenza 2 marzo 2017 della Corte europea dei diritti dell'uomo, Talpis contro Italia, ric. n. 41237/14, che ci condanna per violazione degli articoli 2 (diritto alla vita), 3 (divieto di trattamenti degradanti) e 14 (divieto di discriminazione in ragione del sesso) della Cedu, a risarcire una donna di nazionalità rumena e moldava, residente in Italia, oggetto di gravi maltrattamenti familiari. Secondo la Corte, magistratura e polizia giudiziarianon avrebbero predisposto tempestivi accertamenti e adottato provvedimenti incisivi nei confronti del marito, già indagato per lesioni personali e maltrattamenti, e successivamente responsabile dell'omicidio del figlio e di gravi lesioni alla moglie. Particolarmente penalizzante per noi (ancorché oggetto di dissenso all'interno della Corte) è la condanna per violazione dell'art.14, avendo il giudice sovranazionale considerato che «sottovalutando, in forza della loro inerzia, la gravità delle violenze domestiche, le autorità italiane le avrebbero in sostanza tollerate»: frase pesante, come se la considerazione della donna nelle nostre istituzioni fosse quella di un secolo fa…
Al di là della vicenda processuale (nella quale non si ravvisano errori o mancanze giuridicamente rilevanti), la decisione della Corte rischia di costituire un grave precedente. Di qui l'importanza di una sollecita azione del Csm, il quale, oltre a precisare indicazioni date in passato (specializzazione dei magistrati su tali reati, formazione specifica di magistrati onorari e delle forze di polizia), potrebbe rilevare le migliori prassi seguite, come i protocolli operativi tra Procure e forze dell'ordine (penso in particolare a quello tra Procura di Roma e Nucleo investigativo dei Carabinieri), e dettare linee guida per la magistratura, al fine di allineare agli standard sovranazionali la risposta italiana alle violenze domestiche. Non siamo all'anno zero, dobbiamo saperlo dimostrare anche fuori d'Italia.