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Vino e olioL'emergente emisfero Sud e l'abominevole freno della burocrazia

Paolo Massobrio mercoledì 20 settembre 2017
Il manager del tessile Edoardo Miroglio, che ha pure un'attività vitivinicola nel Roero (la Tenuta Carretta a Piobesi d'Alba), lunedì ha dialogato, insieme col figlio Franco, davanti a un gruppetto di giornalisti in occasione dei 550 anni della sua azienda. E, parlando di investimenti, ha detto che prossimamente punterà sull'Alta Langa. Un investimento dovuto ai cambiamenti climatici, che già gli hanno fatto cambiare strategia in Bulgaria, dove ha un'altra azienda vitivinicola? Sì, per il 20% delle motivazioni c'è anche quella.
Cambia il clima e non è solo una questione di stress idrico, ma anche di nuove patologie che fanno capolino in agricoltura. In Italia il vino va a braccetto con l'olio, in moltissime situazioni, ma anche l'olio, come il miele, non garantisce più grandi performance, dal punto di vista quantitativo, come in passato. A Verona, dove la fiera svolge un'azione di collettore fra i produttori di vino (Vinitaly) e quelli di olio (Sol-Agrifood), sono andati a vedere cosa succede nell'emisfero australe, sondando le cultivar con le migliori performance. E hanno premiato gli oli di Sudafrica, Cile e Argentina. Questo anche grazie a un accordo tra Veronafiere e Intex Osaka, organizzatrice di Olive Oil Kansai International, prima fiera in Giappone dedicata all'olio extravergine di oliva, in programma il prossimo ottobre. Il miglioramento delle produzioni nei principali Paesi produttori ha visto nel tempo aumentare la presenza di aziende dell'emisfero Sud e nell'edizione 2017 si è messo in particolare evidenza il Cile.
Ora, tutto questo insegna che il treno della globalizzazione ha una valenza non solo commerciale, ma anche di conoscenza, di scambio, di analisi su come le cultivar si comportano e si adattano ai vari climi. E questo vale anche per il vino, al centro di un dibattito molto intenso fra produttori. Uno su tutti: Angelo Gaja proprio in questi giorni ha raccontato come diversi Paesi extraeuropei, da potenziali importatori di vino che erano, sono diventati produttori. E sembra il medesimo percorso dell'olio. Ma Gaja sottolinea anche che l'Italia ha un unicum grazie al tessuto dei piccoli produttori: «Quelli spesso sono capaci di pensare diverso, di esplorare strade nuove, benché la burocrazia sia cresciuta a dismisura, accanendosi sui produttori medio-piccoli: quelli che andrebbero sostenuti, recuperati».
Ma questo rimane il nodo: lo Stato è capace di dare fiducia a una congenita realtà che produce innovazione, occupazione, ricchezza? Oppure si trincera dietro le regole di una burocrazia che rimane, agli occhi di tutti, un abominevole freno?