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Verso i 150 anni di Suez, il canale della pace europea

Gianfranco Marcelli martedì 5 settembre 2017
Si avvicina rapidamente una ricorrenza alla quale a Bruxelles e nelle altre capitali del Continente nessuno ha ancora pensato, eppure di grande significato simbolico per la Vecchia Europa: il 150° anniversario dell'apertura del Canale di Suez, che cadrà esattamente fra due anni. A festeggiarlo, immaginiamo, sarà in primo luogo l'Egitto, che proprio grazie a quell'opera sigillò la sua quasi totale indipendenza dall'Impero Ottomano e gettò le basi per una crescita nazionale in grado di farne oggi uno dei Paesi africani più importanti.
E invece, assieme ai padroni di casa, tutti i cittadini europei dovrebbero soffermarsi a meditare sul primo e forse unico momento di reale unità che i loro Paesi vissero, in un clima di festosa concordia, dal 17 al 20 novembre 1869. Tanto durò infatti il primo attraversamento ufficiale della nuova via fra il Mediterraneo e il Mar Rosso, volutamente cadenzato su diverse tappe per poter moltiplicare i momenti celebrativi (le ore di navigazione effettiva furono una quindicina).
In quei quattro giorni si verificò un evento di portata universale e si posero le premesse per il cambiamento della geopolitica mondiale fissata dal Congresso di Vienna del 1815 e basata sul concerto delle potenze dominanti. Fu un avvenimento del quale i contemporanei ebbero piena consapevolezza, perché il lungo processo di studio e di realizzazione dell'opera, progettata dall'ingegnere trentino Luigi Negrelli e portata a termine grazie alla tenacia e alla passione del francese Ferdinand de Lesseps, aveva acceso l'attenzione di tutta l'opinione pubblica del Continente.
In particolare, era nota l'ostilità verso l'impresa del governo inglese, con il primo ministro Palmerston, che per quasi un quarto di secolo, malgrado l'interesse economico crescente della City, l'aveva osteggiata con ogni mezzo. Ma in quell'autunno del '69 il "grande nemico" del Canale era morto da quattro anni, la sua ostinata "Brexit ante litteram" era rientrata e anche Londra aveva ormai accettato di sostenere l'iniziativa. Tanto che fra le 72 navi di Stato ancorate nella rada di Porto Said, pronte a iniziare la sfilata inaugurale nel nuovo corso d'acqua, la squadra più numerosa era proprio quella di sua maestà la regina Vittoria, con ben 12 imbarcazioni.
A parte i numeri delle singole presenze, a scrivere una pagina di storia inedita fu proprio la partecipazione corale di quella che San Giovanni Paolo II avrebbe definito, oltre un secolo più tardi, l'Europa dei suoi sogni, quella "dall'Atlantico agli Urali". Perché dietro il sontuoso panfilo dell'imperatrice Eugenia di Francia, moglie di Napoleone III e "madrina" su invito del viceré egiziano Ismail Pascià, si schierarono in fila indiana le navi con a bordo teste coronate e ministri di ogni nazione: dall'imperatore d'Austria Francesco Giuseppe al principe Federico Guglielmo di Prussia, dai principi d'Olanda agli ambasciatori di Russia e Gran Bretagna. E poi navi "ufficiali" e commerciali di Portogallo, Svezia, Norvegia e anche del giovane Regno d'Italia battenti il tricolore sabaudo.
Perfino lo "stile" delle celebrazioni anticipò in certa misura quello che dal 1986 in avanti sarà chiamato "lo spirito di Assisi", con cerimonie parallele condotte da ulema musulmani e da ministri cristiani, fra preghiere coraniche in arabo e canti del Te Deum. La sensibilità dei grandi scrittori contemporanei colse bene il valore pacifico e universale dell'avvenimento che si era svolto sotto gli occhi del mondo. Uno per tutti, Victor Hugo: come ricorda lo storico Pompeo De Angelis in una accurata ricostruzione apparsa di recente a puntate, l'autore dei Miserabili acclamò all'opera come a una di quelle «grandi cose diverse dalle guerre», capaci di «meravigliare l'universo perché appartenenti "alla civiltà"».
E pensare che quegli stessi Paesi, nel solo decennio necessario alla costruzione, si erano combattuti più volte tra loro, in Italia e in Crimea. Per questa Europa sempre più a rischio di dispersione – civile ed etica prima ancora che politica – far memoria di quei giorni sarebbe un ottimo incentivo a ritrovarsi.