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Una generazione s'avanza Diamole ascolto e campo

Mauro Berruto mercoledì 16 febbraio 2022
«Ho sedici anni e sto vivendo una pandemia, il riscaldamento globale e una probabile terza guerra mondiale. Almeno da grande avrò qualcosa da raccontare, peccato che non diventerò grande». Questo tweet, fra i tantissimi che si possono trovare all'hashtag "Ucraina", è di una ragazza italiana, nata nel 2005. Un messaggio sarcastico, triste, tanto amaro quanto significativo. Meno di trenta parole per raccontare di un mondo che sta andando in contromano rispetto a una generazione, quella delle ragazze e dei ragazzi nati nel nuovo millennio, che paga le responsabilità gigantesche dei loro genitori, nati nella seconda metà del Novecento. Non è mai simpatico fare discorsi generalisti, però in questo caso c'è una generazione, alla quale peraltro appartengo completamente, che oggi ha in mano il potere politico, economico, di comunicazione, militare e che, semplicemente, ha fallito; nello specifico, come in pochi altri casi nella storia, ha clamorosamente fallito nell'idea di consegnare un mondo migliore ai propri figli.
Proprio in questi giorni, le cui ore sono state scandite dalla paura ora in attenuazione di un'invasione russa in Ucraina e migliaia di militari hanno manovrato lungo quel confine, uno dei messaggi di pace più forti e genuini è arrivato da Pechino, sede dei Giochi Olimpici invernali, da un ragazzo nato nel 1999. Si tratta dell'atleta ucraino Vladyslav Heraskevych, che al termine della sua prova nello skeleton ha mostrato alle telecamere un cartello con la scritta: «No War in Ukraine» su uno sfondo azzurro e giallo, i colori della bandiera del suo Paese. Un atto di coraggio, perché c'era il concreto (e incredibile) rischio che Heraskevych venisse squalificato: la Carta Olimpica non consente «in nessun sito, sede o altra area olimpica» che possano essere veicolati messaggi a scopo politico, religioso o razziale. Quello di Heraskevych è stato giudicato dal Cio come un «generico appello alla pace», e per questo l'atleta, seppur «ammonito», non è stato sanzionato. Ci mancherebbe altro, verrebbe da aggiungere. In questo momento, dove alla faccia della tregua olimpica incombe il tempo di un conflitto, quello sport che, per paradosso, la pandemia ha negato agli adolescenti, non solo può, ma deve manifestare il suo messaggio di pace.
Insomma, questi ragazzi della Generazione Z, come Greta Thunberg che, sedicenne, fu in grado di accendere la luce sul gigantesco problema del riscaldamento globale, come lo slittinista ucraino, come l'anonima utente di Twitter da cui ho iniziato e che riassume la follia del momento, non meritano solo rispetto; meritano che noi, a metà strada fra Baby Boomers e Generazione X, facciamo un rispettoso passo indietro, cercando di non fare ulteriori danni.
Questo mondo trasformato dalla rivoluzione digitale non lo salveremo noi, immigrati digitali, ma quei ragazzi che ci sono nati. Noi possiamo soltanto far sì che succeda prima che sia troppo tardi, senza creare ulteriori ostacoli, impedimenti o resistenze. La mia generazione ha perso e, come lo sport insegna, il campo di gioco va lasciato (possibilmente pulito e in ordine) a chi ha più intelligenza, più energia e più fame di futuro.