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Un “Espresso” buono: davvero "un piacere"

Gianni Gennari venerdì 19 aprile 2013
Asorpresa su "L'Espresso" (18/4) – già qui segnalato per l'intrigante parallelo tra il "Conclave" a San Pietro e quello per il Quirinale di stretta attualità – a p. 142 trovo un pensoso Gianni Vattimo, spesso dialetticamente presente nei "lupus": «Amore in monastero». Nella breve recensione di "Mentre vi guardo" (Ed. Einaudi), della «badessa in un monastero benedettino» madre Maria Grazia Angelini scrive che l'autrice «dalla sua apparente lontananza riesce a mostrare la vita monastica come il ritrovamento del comune e del quotidiano (…) nascosto a chi vive nel mondo». Per lui «una testimonianza tanto vitalmente edificante quanto inaspettata. Sembra paradossale trovarsi spiegato il senso della vita da una persona che vive lontana dal mondo». Seguono pensieri sulle «passioni» degne di essere vissute, sull'«affidamento reciproco» di una vita in comune alla presenza di quel Dio rivelato e incarnato in Gesù Cristo e, nel caso, in coloro che, nel monastero di vita in comune, lo hanno preso sul serio. «Il senso della vita»? Il vero segreto in fin dei conti è quella parola che Vattimo ha messo nel titolo: «Amore». Uomini e donne degne di questo nome lo hanno vissuto e lo vivono da sempre, conoscendone o meno la fonte, che è l'essenza di Dio, ma comunque "riconoscendolo" nell'altro presente, che nel linguaggio cristiano si chiama «il prossimo». È il segreto di madre Angelini? Certo. Anche di Teresa di Lisieux e di tutti i "santi" che riconoscono Dio-Amore nella loro vita concreta e da Lui sono riconosciuti «alla sera della vita», quando, come alla luce del Vangelo (Mt 25) insegna san Giovanni della Croce – un altro che ha vissuto apparentemente lontano dal mondo – «saremo giudicati sull'Amore». Talora anche "L'Espresso" – non solo caffè – è un piacere…