Rubriche

Tutto è grazia

Guido Oldani giovedì 2 gennaio 2014
Anno nuovo, nuovo trimestre e nuovo appuntamento sulla prima pagina di “Avvenire”. Nei mesi scorsi Salvatore Mannuzzu ha emozionato e commosso i nostri lettori con le annotazioni quotidiane di Procedura. A raccogliere il suo testimone è adesso Guido Oldani, in una staffetta che si annuncia subito ricca di sorprese. Non è soltanto l’avvicendamento tra uno scrittore straordinario, profondamente radicato nella luce e nell’essenzialità della sua Sardegna, e un poeta che, invece, impersona come pochi altri gli umori e la concretezza della terra lombarda. Nato nel 1947 a Melegnano, a sud di Milano, Oldani è protagonista di un percorso assolutamente originale, che non mancherà di coinvolgere quanti seguiranno le suggestioni (e le provocazioni) di La botola del cielo. Nella sua bibliografia figurano importanti raccolte di versi come «Stilnostro» (1985) e «La betoniera» (2007), ma anche saggi di estrema originalità, prima fra tutti «Il realismo terminale», apparso nel 2010 da Mursia e poi tradotto negli Usa. Membro del comitato scientifico di “Luoghi dell’Infinito”, Oldani sarà un compagno di viaggio mai banale e sempre illuminante. Benvenuto a lui e grazie ancora, di cuore, a Mannuzzu.
 
Ho una mente insofferente. Quando penso a quali libri sceglierei da mettere nello zaino per un eventuale viaggio solitario sulla luna, mi ritrovo a mani vuote. Eppure un chiodo fisso ce l'ho: mi riferisco a «Diario di un curato di campagna», di George Bernanos. Il giovane prete sta morendo. La vita gli è sempre stata avversa, anche ora in una casa altra inospitale. Ha il cancro allo stomaco, è perforato dal dolore, dopo che da tempo si alimentava solo con qualche frammento di pane secco intinto nel vino. Lui che era nato figlio di alcoolisti, naufrago audace sulla costa del Nazareno. Il curato è caduto sul pavimento e da lì, dall'altezza da cui un cane accucciato guarderebbe, scruta tra le gambe del tavolo, delle sedie e i piedi dei mobili. Ecco, gli amministra l'ultimo sacramento, un prete spretato, un poveretto che però essendo "sacerdos in aeternum", non ha il coraggio di sottrarsi al suo divinissimo dovere. La scena è pietosamente miserabile, il sipario ultimo sta calando, si chiude una giovane vita che tutti avrebbero voluto evitarsi. L'agonizzante mormora: «Tutto è grazia». Questa contraddizione, così sciagurata ed inaccettabile, è come una coltellata tremenda, vibrata al minuscolo buonsenso e al comportamento comune: la grazia erompe dalla disgrazia.