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Tra Browne e Calasso i geroglifici a braccetto con l'erudizione

Cesare Cavalleri mercoledì 28 novembre 2018
Roberto Calasso ha pubblicato la tesi di laurea che nel 1965 discusse a Roma, alla Sapienza, avendo come relatori Mario Praz e Sergio Donadoni, due luminari uno dei quali con fama non esattamente beneaugurante. Il libro, già pubblicato in Messico nel 2010, è intitolato I geroglifici di Sir Thomas Browne (Adelphi, Milano 2018, pp. 192, euro 20). La vena erudito-esoterica che caratterizza Calasso, e la sua casa editrice, viene dunque da lontano, se già a ventiquattr'anni Calasso frequentava biblioteche per disseppellire autori che riposavano indisturbati.
Sir Thomas Browne (1605-1682) è un sommo erudito dalla prosa fascinosa svettante nel panorama del suo tempo: medico, naturalista, teologo, antiquario, esoterista, ebbe altissima reputazione in vita, per poi essere travolto dall'ondata dell'oblìo. Scrisse la Religio Medici (1642), che Adelphi pubblicò nel 2008, con un saggio di Roberto Calasso; Pseudodoxia Epidemica (1646-72); Urne Burial (1658) e altri lavori apparsi dopo la sua morte.
Molto interessante la sua concezione dei rapporti fra natura e arte: «L'arte è il perfezionamento della natura: se il mondo fosse ora come lo era il sesto giorno, ci sarebbe ancora un caos: la natura ha fatto un mondo e l'arte ne ha fatto un altro. In breve, le cose sono tutte artificiali, poiché la natura è l'arte di Dio». Parole che vennero fraintese dai contemporanei: Henry Power (1623-1668) dedusse precipitosamente che se tutto è artificiale, allora la suprema conoscenza verrà dalla filosofia meccanica; all'opposto, Alexander Ross (1590-1654) accusò Browne di voler identificare arte e natura, mentre Browne non auspicava la “nuova scienza” che si affermerà con l'illuminismo, bensì propendeva per una concezione ermetica e alchemica, al punto che sulla sua tomba nella chiesa St. Peter Mancroft, a Norwich, una lapide in latino recitava: «L'illustrissimo Signor Thomas Browne, Cavaliere, Dottore in medicina, all'età di settantasette anni, morto il 19 ottobre dell'anno del Signore 1682, dormendo in questo loculo con la polvere del suo corpo spagirico tramuta il piombo in oro». Il corpo spagirico allude alla medicina spagirica di Paracelso, e l'epitaffio è degno «di un adepto della Ars regia, che abbia fatto incidere sulla sua tomba la più concisa definizione dell'opus alchymicum.
Ma veniamo ai geroglifici. Un amico egittologo che ha sbirciato la quarta di copertina del libro di Calasso che avevo in mano, mi ha subito fatto notare un errore. «Prima di essere decifrati da Champollion, i geroglifici egiziani vennero interpretati come una lingua non discorsiva, segreta e rivelatrice, fatta solo di immagini». I geroglifici sono una scrittura, non una lingua. Gli egiziani non parlavano in geroglifici, se ne servivano per scrivere, tanto che ormai un egittologo potrebbe scrivere in geroglifici anche una poesia di Goethe.
Questa confusione tra lingua e scrittura, che ricorre nel libro, è dovuta alla venerazione di Calasso (e di Browne) per Athanasius Kircher (1602-1680), l'eruditissimo gesuita che diede un'interpretazione simbolica dei geroglifici totalmente sballata e oggi insostenibile. Kircher, fra l'altro, collaborò con Lorenzo Bernini alla costruzione della Fontana dei Fiumi in Piazza Navona, pretendendo di aver decifrato i geroglifici dell'obelisco che la sovrasta. Se fra i contemporanei Kircher godeva comprensibilmente di prestigio, oggi non se ne può parlare come se fossimo ai tempi di Browne. Un eccesso di fiducia nell'erudizione, può giocare brutti scherzi.
L'ultimo, breve capitolo, contiene osservazioni di Borges, Virginia Woolf, Brodskij e altri. Riporto queste righe di Calasso: «Fra le 784 parole coniate da Browne nella lingua inglese: hallucination, electricity, computer. Invece deuteroscopy, che significa “dare una seconda occhiata”, non è entrata nell'uso corrente. Ma tutta la vita di Browne fu una deuteroscopia, una glossa perpetua a parole di altri. Non pretese mai di esser il primo, se non nella maniera del dire». Diamo a Browne quel che è di Browne, e a Calasso quel che è suo. Con ammirazione per entrambi.