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Tornano i mottetti di Carissimi opere di devozione e virtuosismo

Andrea Milanesi domenica 18 maggio 2008
«Giacomo Carissimi, musicista eccellentissimo e di grande fama. Degnissimo Maestro della chiesa di Sant'Apollinare del Collegio Germanico per lo spazio di molti anni, emerge sugli altri per l'ingegno e la felicità della composizione, capace di trasportare gli animi degli ascoltatori verso qualunque sentimento. Sono infatti le sue composizioni piene di succo e di vivacità di spirito"». Con queste parole, nel suo celebre trattato Musurgia universalis, il grande erudito gesuita Athanasius Kircher inquadrava la figura e l'arte di Giacomo Carissimi (1605-1674), per oltre quarant'anni maestro di cappella presso la romana Basilica di Sant'Apollinare (vero e proprio centro propulsore della Controriforma), nonché punto di riferimento assoluto nel percorso di definizione ed evoluzione dell'oratorio in lingua latina.
In tale prospettiva, da oltre vent'anni Flavio Colusso " studioso e musicologo, compositore e direttore d'orchestra " si sta dedicando con impegno profondo e inesausta passione d'interprete alla riscoperta e all'esecuzione dei massimi capolavori del compositore di Marino; a capo dell'ensemble vocale e strumentale Seicentonovecento e di un valente manipolo di cantanti solisti è oggi approdato a una selezione di mottetti carissimiani tratti dalla raccolta intitolata Arion Romanus, stampata a Costanza nel 1670 e dedicata al vescovo locale Franz Joseph, Principe del Sacro Romano Impero (cd pubblicato e distribuito da MusicaImmagine Records).
Si tratta di pagine virtuosistiche di diversa ispirazione e destinazione liturgica, per un organico compreso da una a cinque voci con accompagnamento di violini e basso continuo, «composte di arte e singolare dolcezza miste insieme», come recita la dedica della prima edizione a stampa; tra effetti d'eco, episodi in stile recitativo e concertato, arie solistiche e madrigali, la felice impronta creativa di Carissimi, grande conoscitore delle potenzialità tecniche ed espressive offerte dal variopinto universo della pratica vocale, riesce a coniugare mirabilmente la profondità del proprio sentire religioso a una vivida vena drammaturgica, offrendo spessore di teatrale devozione a quelle «compositiones succo et vivacitate spiritus plenae» tanto care ai teorici musicali del suo tempo.