Rubriche

tirare a sorte

Gianfranco Ravasi martedì 9 agosto 2005
Un uomo aveva deciso di tirare a sorte tutte le sue decisioni. Ebbene, non gli accadde maggior male rispetto a quelli che calcolano tutto. Leggo questa osservazione ironica nei vari appunti che il poeta francese
Paul Valéry ci lasciò nei suoi quaderni intitolati Tal quale (1941-43). A prima vista si deve riconoscere che non ha tutti i torti. Quante volte nella vita abbiamo calcolato, soppesato, ponderato prima di agire e il risultato è stato catastrofico. Mentre in altre occasioni ci siamo messi a operare a cuor leggero e senza tante riflessioni e tutto è scivolato in modo magnifico. C'è, infatti, nell'esistenza un imponderabile, c'è qualcosa che trascende i nostri piani: alcuni rimandano al caso, altri pensano alla complessità del reale, i credenti scoprono un disegno condotto da un altro attore oltre a noi, la Provvidenza divina le cui strade non sono le nostre, come non lo sono i suoi
pensieri. Certo, l'eccesso di calcolo, di precauzione, di cautela può condurre alla fobia dell'agire, alla timidezza inerte, all'incapacità stessa di stare nel mondo. Tuttavia, soprattutto ai nostri giorni, ci sembra necessario ridimensionare la considerazione di Valéry. La superficialità con cui si affronta ogni scelta è tale da far rimanere sconcertati: si pensi solo al modo con cui si arriva non di rado al matrimonio. È naturale che sei mesi dopo si sia già in difficoltà e forse si pensi alla separazione. L'irriflessività, la leggerezza, l'avventatezza rivelano un'immaturità radicale che sconfina nell'irresponsabilità e nell'incoscienza. Ma la vita non è un gioco di dadi o uno scherzo in cui tutto è ammesso e tutto si ricompone senza danno.