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Tempo di veri eroi, che non si vantano

Umberto Folena domenica 31 maggio 2020
Il bambino ha lasciato nella cesta dei giochi i pupazzi di Batman e Spiderman. Con la mano tiene alta un'infermiera dal mantello svolazzante e il braccio teso, la stessa posa di Superman che spicca il volo verso imprese mirabolanti. L'artista di strada Banksy ha esposto il suo omaggio alle eroine del coronavirus nei pressi del Pronto soccorso dell'Ospedale di Southampton, Inghilterra meridionale. Le infermiere di tutto il mondo avranno sorriso e scosso il capo. Così fanno gli eroi: negano di esserlo, non si sentono tali e, di fronte alle insistenze, si infastidiscono. Ho fatto soltanto il mio dovere, replica l'eroe che detesta le celebrazioni e preferisce restare nel silenzio e nell'ombra, dove si sente a suo agio. Per fortuna, Banksy ha il tratto sobrio, antiretorico e ironico che lo ha sempre salvato, assieme al gusto dell'anonimato: chi sia non si sa. Banksy gioca a nascondino, ridacchia soddisfatto, ma non è immune al fascino della notorietà, semplicemente ama vedere in copertina non il suo faccione bensì le sue opere. Un po' come l'infermiera (e l'infermiere) eroe: ama vedere una persona salvata che finalmente respira da sola, sorride ed esce dall'ospedale, accolta da chi le vuol bene. Rimane nella penombra e se sorride non se ne accorge nessuno perché, come i supereroi, ha la maschera.
Eroe è parolina o parolaccia? Per Papa Francesco è sicuramente parolina. «Guardate ai veri eroi – diceva lo scorso 5 aprile – che in questi giorni vengono alla luce: non sono quelli che hanno fama, soldi e successi, ma quelli che danno se stessi per servire gli altri». Se è vero, dalla cesta dei giochi il bambino ha sicuramente anche un medico, un operatore di Rsa, un volontario che recapita cibo e medicine agli anziani soli, chi ha tenuto aperti i servizi essenziali... Sono tantissimi, "infermieri" nel senso di soccorritori a servizio della comunità, senza fama né soldi né successo perché un giorno, speriamo non lontano, tutto questo finirà e loro torneranno nelle loro penombre.
Parolaccia era forse per Bertolt Brecht a cui dobbiamo una delle più celebri, usate e abusate frasi sull'eroe: «Sventurata la terra che ha bisogno di eroi». Sventurata perché significa che è aggredita da un nemico potente e non possiede normali difese, non se ne è saputa dotare, così da dover ricorrere a difensori eccezionali che spesso, una volta vittoriosi, non riescono a sfuggire al fascino alla gloria e del potere, tramutandosi nei tiranni di coloro che erano corsi a servire. Potremmo però aggiungere: «Sventurata sì; ma, nel bisogno, fortunata a trovarne uno, mite e disinteressato». Come piace a noi e come in queste settimane si è rivelato: una persona comune chiamata dalle circostanze a compiere un'impresa eccezionale. Per lei è naturale. Non deve pensarci troppo, agisce d'istinto perché è nella sua natura, nelle sue scelte di vita, nel profilo del suo cuore servire gli altri a qualunque costo, senza risparmiarsi. Come ricorda un "autore" assai diverso da Brecht: «Eroe è chi fa il suo dovere ogni giorno» (Wolverine, un supereroe).
L'eroe ha bisogno di un nemico. Anche e soprattutto un eroe pacifico: nemici sono la miseria, la malattia, il disagio, la sofferenza fisica e psichica. Ne era convinto Victor Hugo: «La vita, la sventura, l'isolamento, l'abbandono, la povertà sono campi di battaglia che hanno i loro eroi, eroi oscuri a volte più grandi degli eroi illustri». Qualcuno pensa forse di non essere abbastanza (forte, generoso, coraggioso...) per diventare questo tipo di eroe? Per lui valgano i versi di Emily Dickinson: «Non sappiamo mai quanto siamo alti / finché non ci chiedono di alzarci».