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Sociologia della rucola

Aldo Nove mercoledì 15 aprile 2020
L'apparentemente imponderabile successo delle trasmissioni televisive di cucina; l'emersione, negli ultimi anni, della figura dello chef come detentore di una conoscenza e di una prassi garanzia di solido successo ci raccontano molte cose. Innanzitutto, mascherato dagli orpelli della sua varietà (di forma, di sostanza, di presentazione) lo scandaloso fantasma dell'ineluttabilità del mangiare. Scandaloso per un Occidente sedicente troppo sazio, ben lontano dai problemi relativi alla semplice sussistenza, al bisogno elementare del cibo che pure attanaglia miliardi di persone. Quel fantasma si fa sempre più prossimo, ne avvertiamo in qualche modo il possibile ritorno o, meglio, il suo eterno scorrere parallelo e pronto a invadere il campo delle nostre vite quotidiane. La metafora evangelica ben ci ricorda che "non di solo pane" vive l'uomo ma, opportunamente stravolta, non può non sottolineare, ogni volta, che senza pane, l'uomo, non vive. E per scongiurarne la possibilità dell'assenza ecco i nuovi sacerdoti dell'abbondanza, dell'arte dello scalogno e del suo accostamento, della gratuita ed inaudita moltiplicazione dei pani, dei pesci tropicali, dei frutti "strani" nelle nuove (inquietanti e trasparenti) scienze popolari della storiografia della panna, della sociologia della rucola.