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Siti a confronto sulla liturgia: chi spiega e chi lancia allarmi

Guido Mocellin mercoledì 11 dicembre 2019
Con più o meno sommessa inquietudine, alcuni siti e blog dell'area antimoderna ("Gloria Tv", "Chiesa e post-concilio", "Radio Spada" bit.ly/2rovk3r) sottolineano un altro cambiamento, meno clamoroso di quelli già ampiamente dibattuti, nella traduzione italiana della terza edizione del Messale romano, che entrerà in uso nei primi mesi del 2020. Si tratta della parola «rugiada» al posto di «effusione» laddove, nella Preghiera eucaristica II, il celebrante invoca la discesa dello Spirito Santo sul pane e il vino perché diventino il corpo e il sangue di Gesù Cristo. La fonte è una registrazione audio, per la verità piuttosto confusa, di una conferenza del direttore dell'Ufficio liturgico nazionale, don Franco Magnani (suppongo quella tenuta a Treviso il 4 dicembre).
Eppure don Magnani dice chiaramente che questa modifica, come altre che egli illustra, è stata dettata da una maggiore fedeltà al testo latino del nuovo Messale; circostanza confermata dall'anonimo teologo interpellato in proposito dal blog "Stilum curiae", che una volta tanto getta così acqua e non benzina sul fuoco. Metto a confronto queste inquietudini con i severi post in materia liturgica pubblicati da Elide Siviero su "Settimananews" ( bit.ly/2Pvdvrq ): l'ultimo è dedicato ai riti di comunione, il che mi fa supporre che la serie sia prossima a concludersi. Questi interventi non fanno davvero sconti su come il celebrante, gli altri ministri e il popolo dovrebbero partecipare a ciascuna parte della Messa. Nell'ultimo si spiega perché la preghiera del Signore – il Padre Nostro – si impoverisce se viene «stravolta e messa su una musica pop», e che il rito della pace non è «la preghiera per la pace nel mondo o per fare la pace con i vicini». Tutto dall'interno di un'adesione senza riserve alla riforma liturgica postconciliare, della quale si mostrano le enormi ricchezze. Che è ben altro dal prendere a pretesto le piccole novità di oggi per stigmatizzare, per l'ennesima volta, le grandi novità di cinquant'anni fa.