Rubriche

Siamo global o universali Ma essenziale è l’incontro

Alfonso Berardinelli venerdì 21 aprile 2023
Non so o non ricordo che cosa precisamente intendesse Tolstoj quando disse che la Nona sinfonia di Beethoven «divideva gli uomini». Reazione polemica e giudizio paradossale, se si pensa che quel capolavoro musicale, oggi adottato come inno dell’Unione Europea, si conclude con un coro in cui vengono cantate le parole dell’ode di Schiller “An die Freude”, alla gioia, il cui messaggio è che «tutti gli uomini diventano fratelli» e milioni di esseri umani fraternamente si abbracceranno. Mi viene in mente solo un sospetto che possa spiegare la condanna di Tolstoj: il carattere titanico della sinfonia, e più in generale dell’idealismo romantico tedesco, il cui slancio umanitario e universalistico si librava troppo e pericolosamente in alto, non guardava abbastanza alla più comune e umile umanità, proprio quella che di fraternità sociale aveva più bisogno. Del resto le opinioni e i giudizi di Tolstoj erano spesso di una passionalità e di un estremismo morale che può renderli difficilmente accettabili: basta pensare alla sua valutazione negativa nientemeno che di Shakespeare. L’universalismo, l’unione del genere umano, sembra ossessionare da un paio di secoli la cultura occidentale. Una cultura che non riusciva a convivere senza attrito e rimorsi con la smania europea e americana di espansione economica e di conquista politica. In particolare gli atroci misfatti e i crimini del colonialismo hanno fatto di quella occidentale una cultura ipocrita che divideva l’umanità in umani e sottoumani, mentre predicava il diritto alla libertà, all’uguaglianza, alla fraternità. Se oggi c’è qualcosa che può riscattarci almeno in parte, è la capacità di autocritica e il senso di colpa e vergogna per quel nostro passato. È infatti proprio il colonialismo una delle prime cause storiche delle attuali, inarrestabili migrazioni in dall’Africa e dall’Asia. Ho detto universalismo pensando agli illuministi e ai romantici, delle cui varie eredità ancora viviamo, nonostante i loro difetti e limiti. Ma oggi si parla piuttosto di globalizzazione, termine più tecnico che morale. Ne parlavano con altre parole già Marx e Engels a metà Ottocento, descrivendo le potenzialità espansive del capitalismo in uno spazio planetario. La globalizzazione in cui ora viviamo è stata vista da molti superficiali ottimisti o propagandisti come un progresso umanitario. Tutti gli uomini comunicano grazie alle nuove tecnologie. Ma sarebbe troppo, credo, pensare che la Rete sia pervasa da sentimenti di fraternità universale. La Rete potenzia e diffonde tutto, il bene come il male. Non migliora l’umanità. L’umanità migliora ogni volta che un essere umano ne incontra un altro di persona, lo tratta con comprensione e lo aiuta. © riproduzione riservata