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«Si è sempre fatto così» E la società è bloccata

Umberto Folena domenica 1 dicembre 2019
Come in una letale reazione chimica, quattro parole innocue possono mutarsi in una parolaccia: "Abbiamo sempre fatto così". Il seguito è sottinteso: dunque non c'è alcun motivo per cambiare né abbiamo alcuna intenzione di farlo. La frase viene annodata come un cappio al collo di chi ha osato proporre un cambiamento: nell'azienda, nel partito e nel sindacato, nell'associazione, nel gruppo di amici, in parrocchia, nella Chiesa. Al lavoro o nel tempo libero. Accade, per fortuna, che a qualcuno venga un'idea nuova che a lui pare brillante, perché potrebbe risolvere un problema ritenuto irrisolvibile, o migliorare la produzione e la vita in comune, facendo guadagnare tempo, risparmiare fatica e perfino dare gioia. Idee simile sgorgano di continuo, è sicuro. Ma poche riescono a sopravvivere perché strangolate in culla: "Abbiamo sempre fatto così". Discorso chiuso. Per Grace Murray Hopper, matematica americana celeberrima in patria e tra gli informatici, è addirittura "la parola più pericolosa in assoluto". Lei sì ha la competenza per esprimersi in merito. Classe 1906, professoressa di matematica e fisica, durante la Seconda guerra mondiale entra nella Marina militare dove progetta e realizza il primo computer digitale. Sono suoi Harvard Mark I, Univac 1, Cobol (linguaggio usato ancora oggi) e la parola bug, che all'origine fu davvero un insetto, una falena che, entrata negli ingranaggi del computer, lo aveva bloccato. Possiamo stare certi che di fronte alle sue idee del tutto innovative si sia spesso sentita rispondere: "Abbiamo sempre fatto così". Che abbia dovuto lottare, rallentare e sprecare energie preziose per convincere i suoi interlocutori. Pericolo scampato, ma abbastanza per farle dire che quella, proprio quella è la frase più pericolosa in assoluto. Obiezione facile: non tutte le idee nuove sono buone. Sì, ma non tutte sono malvagie. Per scoprirlo, occorre accoglierle e vagliarle. Invece la frase fatale viene sibilata immediatamente, con fastidio. E se, dai e dai, l'idea nuova viene presa in esame, quelli dell'"abbiamo sempre fatto così" riescono a vederne soltanto i limiti, gli svantaggi e gli errori, reali o di fantasia.
Perché? Per vari motivi. La maggioranza della gente è conservatrice. Una volta costruito il proprio bozzolo, il posto di lavoro, il ruolo, la mansione, la direzione di qualcosa, investono ogni energia per conservarla così com'è, e ogni novità è una minaccia. Se sono un gruppo, smettono addirittura di pensare per evitare che sorga un'idea nuova: tante teste, nessun cervello. Oppure sono attanagliati dal terrore della privazione: chi introduce la novità vuole il mio posto? La novità causerà un cambio nell'organizzazione a mio danno? Altra reazione frequente: sì, bello, ma tanto non funziona.
Nei casi estremi, in certi ambienti la creatività è avversata come sinonimo di anarchia, disordine, baratro. L'inventiva è bizzarria e disorientamento. Nulla deve cambiare mai. Non capiscono, costoro, che ogni struttura composta da individui che si danno un obiettivo – azienda, famiglia, impresa, associazione sportiva o di volontariato, parrocchia... – si regge sull'equilibrio della bicicletta. Se la bicicletta sta ferma, cade. Per stare in piedi deve muoversi, ora lenta ora veloce. Ma muoversi! Anche un tram inglese si muoveva, un secolo fa, e quando pioveva il guidatore apriva il finestrino e allungava il braccio per pulire il parabrezza con un panno. Finché a una viaggiatrice venne l'idea del tergicristallo e la propose alla società dei tram. Scommettiamo che anche allora, saggio e prudente, qualche tranviere scosse il capo e disse: "Abbiamo sempre fatto così"?