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Se una foca “gioca” in mare con la mascherina...

Giuseppe Matarazzo lunedì 26 aprile 2021

Un leone marino della California “gioca” con una mascherina. Una Ffp2. È la fotografia del tempo che viviamo. Delle due emergenze assolute – una congiunturale, l’altra tendenziale – che assillano il pianeta: la pandemia e l’ambiente. Più preoccupati della prima, mentre la seconda può sempre – erroneamente – attendere. Perché se l’una oggi ci spaventa, con un bollettino quotidiano di morti da tempo di guerra e nello stesso tempo ci priva delle nostre certezze e libertà, l’altra resta lì, latente, come se non ci riguardasse veramente; sempre posticipata nella deadline della catastrofe senza ritorno. Senza pensare che quel 2030 o 2050 che dir si voglia come ultimo limite per invertire la rotta è dietro l’angolo. Così lo scatto di Ralph Pace che ha vinto il primo premio della categoria “Ambiente” dell’edizione 2021 del World Press Photo, il più importante contest internazionale di fotogiornalistico, fa riflettere. E non è solo un “gioco” di uno Zalophus californianus nel Breakwater di Monterey, in California. Il fotografo specializzato in ecologia marina e con all’attivo importanti collaborazioni con prestigiosi organizzazioni e istituzioni che si occupano di tutela degli ambienti marini minacciati, lo scrive chiaramente nella didascalia della foto: con i blocchi dei viaggi per il COvid19 «i luoghi di bellezza naturale e all'aperto con un sacco di fauna selvatica sono diventati un punto focale e popolare per i viaggi locali. Destinazioni simili in tutto il mondo sono state disseminate di mascherine abbandonate. La Bbc ha riferito che circa 129 miliardi di mascherine facciali usa e getta e 65 miliardi di guanti usa e getta vengono utilizzati ogni mese durante la pandemia. Questi dispositivi di protezione individuale (Dpi) possono essere scambiati per cibo da uccelli, pesci, mammiferi marini e altri animali. I Dpi contengono anche plastica e quindi contribuiscono agli otto milioni di tonnellate di plastica che finiscono negli oceani ogni anno. Secondo World Animal Protection, ogni anno circa 136.000 foche, leoni marini e balene muoiono per colpa della plastica. Le mascherine chirurgiche si scompongono nel tempo in milioni di particelle microplastiche, che vengono mangiate dai pesci e da altri animali, e quindi trasportano la contaminazione lungo la catena alimentare, interessando potenzialmente anche gli esseri umani».

World Press Photo 2021, primo premio categoria "Ambiente", singole: una foca marina della California nuota in un sito d’immersioni a Monterey - Ralph Pace

Se le critiche come sempre non mancano nei contest, fra chi pensa che questo sia uno scatto “costruito”, la verità è che il messaggio che trasmette è più forte di qualunque sterile polemica. Alzi la mano chi non ha trovato oggi una mascherina nel posto più impensabile e isolato? Chi non si è imbattuto in una bottiglia di plastica nella più incontaminata riserva naturalistica? Ecco perché questa foto ci parla. Ci racconta delle nostre due emergenze. Lo fa quasi con poesia. Con la leggerezza di una danza. Ma andando dritto al cuore del problema: le conseguenze ambientali del nostro stare al mondo (e anche della pandemia). L’effetto dell’antropocene, le ferite sul pianeta prodotte dalle nostre azioni. Quelle che ha raccontato con durezza il grande fotografo Edward Burtynsky in un progetto - foto e film - realizzato con Jennifer Baichwal e Nicholas de Pencier ed esposto nel corso del 2019 al Mast di Bologna (il libro è edito da Goose Lane): dalle pareti di cemento in Cina che ora coprono il 60% della costa continentale, alle più grandi macchine terrestri mai costruite in Germania, dalle psichedeliche miniere di potassio negli Urali russi alle fiere di metallo nella città di Norilsk, dalla devastante Grande Barriera Corallina in Australia alla grande discarica di Dandora in Kenya, con migliaia di persone che vivono lì fra decine di metri di plastica e rifiuti; fino a un pezzo di Italia: lo sbancamento delle Alpi Apuane, a Carrara, segnate dalle cave di marmo. Immagini di una potenza incredibile e che nella loro struggente bellezza lasciano senza parole. «Stiamo andando verso un futuro incerto. Noi siamo i gestori del pianeta – diceva Burtynsky –. Lo abbiamo gestito male. Non c’è tempo da perdere, ma possiamo ancora reagire».

Sempre nel 2019 un altro illuminante lavoro di Telmo Pievani con le fotografie di Frans Lanting raccontava La terra dopo di noi (Contrasto): «In 60 anni sono state prodotte 8,3 miliardi di tonnellate di plastica e, tra qualche decennio, saranno più del doppio: una quantità incredibile. Negli oceani ne riversiamo ogni anno 8 milioni di tonnellate. Soltanto il 9%, pochissimo, viene adeguatamente riciclato. Tutto il resto, 91%, è plastica usa e getta. Risultato: oggi il mondo è pieno di due tipi di plastiche, macro-plastiche e micro-plastiche. E ci chiameremmo sapiens…». Una situazione questa che potremmo sintetizzare con lo scatto Sewage Surfer di Justin Hoffman, finalista al Wildlife Photografer of the Year 2017, che ha fatto il giro del mondo: il cavalluccio marino che nuota aggrappato a un cotton fioc, nei mari dell’Indonesia. La “mascotte” di un mare di plastica.

Poi è arrivata la pandemia. Un altro effetto dell’antropocene. Un’altra conseguenza di un modello di sviluppo sbagliato, di una globalizzazione distorta. E la foto di Ralph Pace, la foca marina e la mascherina, a ricordarci che c’è sempre un’altra emergenza. Che riguarda tutti, ma proprio tutti, molto da vicino. Con la consapevolezza che – riprendendo Pievani – «senza la nostra pervasiva presenza, la Terra sarebbe selvaggia, indomita, indifferente alle nostre sorti, nuovamente rigogliosa». Ed è meglio forse «ritrovare un’alleanza con la Terra (quella che abbiamo celebrato la scorsa settimana con una Giornata speciale, ndr) –, sapendo di non essere indispensabili». A cominciare da dove buttiamo le nostre mascherine. Le foche, e non solo, ringrazieranno.

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