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Se si dimentica la differenza tra l'uomo e l'animale

Pier Giorgio Liverani domenica 30 ottobre 2016
Sulla base della sua esperienza con le persone psicotiche (malate di mente) un noto psicoanalista scrive sulla
Repubblica (domenica 23) che «per sentirci liberi sogniamo una vita animale». «L'antropocentrismo dell'Occidente – spiega – ha situato l'animale come un essere vivente inferiore a disposizione dell'uomo». E aggiunge: «La vita animale incarna l'ideale di una vita senza costrizioni e pienamente libera», perché «è vita senza vergogna, disinibita, priva di Legge e di senso di colpa.
Quella umana, invece, è vita vincolata, sottomessa, assoggettata alle regole sociali, alienata nel linguaggio, dominata dal senso di colpa e dalla vergogna...» e così via. E mentre la vita animale «è regolata dalla forza infallibile dell'istinto, quella umana appare come ferita, limitata dalle leggi, dalla Cultura, separata irreversibilmente dalla Natura».
Gioirà chi considera il cane, il gatto, il pappagallino membri della propria famiglia e quei Sindaci che ammetterebbero queste bestiole nello stato di famiglia, ma sbaglierebbero. Gli animali che vivono con l'uomo, infatti, sono stati addomesticati, costretti al guinzaglio, al giogo, al morso, alla stalla e al porcile ed è proprio la «forza infallibile dell'istinto» che se li rende apparentemente liberi, li fa in realtà schiavi proprio della natura.
L'uomo, invece, tenta sempre di ampliare i propri limiti, vale a dire ciò che lo fa compos sui e dei confini insuperabili, cosicché è la consapevolezza che lo fa grande e unico. Gli fa riconoscere, infatti, di essere creatura di Qualcuno, che ha pensato a lui dall'eternità. Gli dà – unico nell'universo – la capacità di incontrare e adorare il Senza-limiti e gli dona l'attesa dell'eternità.
L'animale, invece, trova nell'istinto, che non conosce, il proprio limite insuperabile. Non ha limiti fisici né etici, ma soltanto perché non sa di averli proprio a ragione dell'istinto: fa, infatti, tutto quello che vuole senza sapere né volere ciò che non può fare. Sono i limiti, dunque, la grandezza dell'uomo e la sua "differenza" dall'animale. Sono i limiti che ci fanno "simili" ma non "uguali" a Dio e semplici gestori del creato. Animali compresi.

SERVIZIO RELIGIONI
A che servono le religioni? Sempre sulla Repubblica (giovedì 27) Corrado Augias risponde in modo sbrigativo: «Tutte le religioni si occupano e controllano i momenti fondamentali della vita: nascita, confermazione alle soglie della maturità, nozze e morte. Le religioni sono state inventate per questo, non per altro».
Quanto alla ipotetica successiva «vita celeste e per di più eterna», questa si adatta solo a «chi non teme la noia di un'eterna beatitudine... Giusto dunque che, una volta morto, il defunto se ne torni al posto suo, cioè nel grembo perennemente fecondo della natura». Dove è prevedibile – caro Augias – che essere morti sarà una pacchia.