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Se la montagna ci chiede di non pagare più tributo agli idoli

Giovanni Lindo Ferretti domenica 24 giugno 2012
Salgo in macchina di buon mattino, qualche chilometro di statale poi devio su strade comunali e provinciali restando il più alto possibile, appena sotto il crinale; attraverso metà provincia reggiana, sfioro l'alto parmense e svalico scendendo lungo la Massese verso il mare. Due regioni, tre province, quattro comuni: una manciata di borghi spopolati. Un branco di pecore ingorga la strada tra l'abbaiare dei cani e lo scampanio ritmato. Mi fermo e scambio poche parole con la pastora, Maria; è tornata dalla pianura dove sverna con le bestie. Ci conosciamo da sempre, stessa età, stesso paese.Tra i bambini d'allora, orda scalcagnata e scapigliata, lei si distingueva negli atteggiamenti, mostrava cura nel vestire, parlava italiano; una certa aria da cittadina, un po' sprezzante, come le bambine sanno essere, verso noi: marmaglia. Ora Lei è pastora, moglie di un pastore, a farle corona e scudo 5 superbi cani maremmani sospettosi d'ogni movimento, ma docili al suo sguardo, al suo gesto; un branco di pecore intorno; le mani impegnate con quattro ferri a fare la calza; parla un dialetto fluente e ricco, scalcagnata e radiosa; mantiene inalterata la passione per il ballo liscio, un po' di trucco agli occhi, sulle labbra il rossetto. Com'è la vita? Dio ti abbia in gloria, Maria.La montagna è incantata, rapisce lo sguardo e non so dove fermarlo. Le cime tinte d'un verde nuovo come il primo giorno della Creazione, i boschi solcati da mille intensità e mille sfumature, il cielo tirato a lucido; a terra chiazze d'ogni colore e ogni colore ha il suo fiore in forma perfetta, smagliante. Il profumo m'inebria. Sarà l'età, la scarsa frequenza sociale; saranno gli sbalzi climatici o il velo di tristezza e gravore che adombra il civile consesso, ma non ricordo giornate così profumate, odorose di bello e di buono, come se a ogni essenza fosse stato ordinato di schiudersi in tutta la propria fragranza. Le valli ne sono impregnate, immenso incensiere che onora la terra offrendosi al cielo.Perché sia evidente e salvaguardata ogni pur minima diversità è netto, all'olfatto, lo svalicare; oltrepassare un confine che è stato geografico e storico: di qua i Lombardi, di là i Toschi; il burro e l'olio. Di qua la pianura, ultima propaggine d'Eurasia; di là il golfo, il litorale, il Mediterraneo. Quest'anno il profumo m'assale impetuoso, tesse le lodi della Creazione, racconta la storia dell'uomo. La civiltà del vivere sui monti è morta, le famiglie e le comunità che la sostenevano si sono dissolte alla ricerca di nuove opportunità, nuovi stili di vita. La piccola proprietà e gli Usi Civici non hanno retto la modernità e dove non veniva sciupata una manciata d'erba, dove ogni sasso trovava il suo posto in un argine a secco, tutto è abbandono e rovina. La struttura istituzionale continuando a imporre il crinale come confine ne fa una estrema periferia burocratico-amministrativa che obbliga ogni versante a scivolare in basso, verso il proprio piano.Occorre sostenere ciò che sale, fare del crinale cerniera. Tornare alla terra, al bosco, all'allevamento è il primo dovere per chi abita le terre alte. Smettere di mungere le bestie per mungere i turisti non è soluzione. Dove il turismo è risorsa primaria, non complementare, distrugge tutto ciò che non è in sua funzione; per reggere deve massificarsi: strade, parcheggi, megaimpianti, discariche.Ci protegga San Giovanni, il Precursore, ci conceda uno sguardo puro sulla realtà delle cose; la sua rugiada possa liberare i nostri occhi da idoli e ombre. San Giovanni non vuole inganni.