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Se in politica la coerenza non è più una virtù

Goffredo Fofi venerdì 2 febbraio 2018
Conosco il senatore Luigi Manconi da cinquant'anni - sì, dal '68 milanese - e so di che pasta è fatto. So per esempio che è uno dei pochi della sua generazione che ha saputo tener fede agli ideali di gioventù e applicarli ai tempi venuti dopo, liberandosi via via delle scorie ideologiche e riconquistando via via il senso dei valori essenziali e cercando i modi per applicarli al presente. A un presente che diventa rapidamente passato, che continuamente muta. Si ha bisogno di uomini - di veri uomini - per tutte le stagioni e non di reduci, ci ha insegnato qualche antico savio. Ho molto ammirato, e non sono il solo, quel che Manconi ha saputo fare in questi anni nel campo delle battaglie civili e di giustizia, e ho perfino pensato che, finché in parlamento c'erano, uomini come lui (e donne della stessa tempra), per quanto rari, valesse la pena di dialogare con le istituzioni repubblicane, anche nei momenti di maggior delusione e di maggior sconforto, e a volte disgusto. Ma è notizia di questi giorni che il Pd ha escluso Manconi dalle liste elettorali, perché i suoi boss vogliono in parlamento persone fedeli, obbedienti sodali. Com'è caduta in basso la politica, vien da pensare; com'è caduta in basso la sinistra. Nel corso degli anni, occupandomi del cosiddetto “sociale”, ho sempre mantenuto un dialogo con amici che avevano scelto di far politica, e finivano in parlamento, più spesso “indipendenti di sinistra” o cattolici conseguenti, veri cristiani. Se ci si incontrava, più volentieri che dei massimi problemi si discuteva di casi concreti, di problemi irrisolti, di ingiustizie palesi, grandi o piccole, che loro avrebbero potuto affrontare dall'interno del parlamento mentre noi - il “sociale” - ceravamo di affrontarli, senza mezzi, da fuori, spesso con pesanti difficoltà. Ricordo certi veloci colloqui in certi bar del centro della capitale, con Carlo Levi, con Franco Antonicelli, con Lucio Lombardo Radice, con Bianca Guidetti Serra e altri, su fino a Gianfranco Bettin, a Giulio Marcon e... a Luigi Manconi, persone con vocazioni diverse da quelle della politica come professione, ma proprio per questo portatori di istanze più alte, molto più alte di quelle della lotta per il potere della parte che li accoglieva nelle sue liste per aumentare i suoi voti. Il mondo è davvero cambiato, la politica è diventata davvero una guerra di bande per la spartizione del potere (e sappiamo bene che oggi queste bande godrebbero della nostra astensione dal voto, anche se l'astensione è un segno di disamore, di sfiducia o perfino di disprezzo nei loro confronti, ché sarebbe un lasciargli carta bianca), e parole come destra, sinistra, centro hanno perso le loro giustificazioni storiche e indicano interessi che non sono quelli di ceti sociali definiti, tanto meno dei più spossessati, ma anzitutto ammucchiate di interessi corporativi, di gruppo, di egoismi. E il dilemma tra voto e non voto, in un parlamento senza i Manconi, si fa oggi più angosciante, per tanti come me, di quanto non sia mai stato in passato.