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SCRITTO COL VIOLINO

Guido Oldani martedì 20 settembre 2016
Elio Fiore, poeta, ha una casa nel ghetto a Roma, ma ci incontriamo più volte alle cene estive sul terrazzo di Luciano Erba, in Milano. È un personaggio e racconta volentieri di quando incontrò Giacomo Leopardi a Napoli o vide lo Spirito Santo nel duomo ambrosiano. Il suo matrimonio è tardivo, in una chiesa meneghina fuori mano. Lo festeggiamo in pochi, nella sacrestia. Mario Luzi mi racconta volentieri qualche aneddoto su Ezra Pound. C'è con noi anche un'altezza imperiale discendente degli Hoenzollern. Credo di ricordare una plaquette di Fiore, dedicata a Maria, stampata nell'abbazia di Viboldone, con la prefazione di Carlo Maria Martini. Siamo quattro gatti nella corta navata, distribuiti qua e là sulle due file di panche. La penombra è rotta da un suono di violino che incornicia la cerimonia. Sarebbe bella l'espressiva performance del violinista anche immaginando di non udirne il suono. I due candidati alle nozze, attempati e lenti, avanzano dalla porta verso l'altare, come due doni per l'offertorio. Lei è la segretaria anziana di Scheiwiller. Si tengono per mano come due bambini. I rispettivi acciacchi ortopedici li fanno pendere dalla stessa parte. Sembrano un tergicristallo bloccato e raggiungono in un tempo astratto le balaustre. Le primavere, a volte, succedono d'inverno.