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Scaffale basso. Ho guardato un nazista negli occhi: il racconto della Shoah per ragazzi

Rossana Sisti mercoledì 24 gennaio 2018

La Maison des enfants de Sèvres, in Francia, è stata dal 1941 e durante la Seconda Guerra mondiale un luogo speciale: un’esperienza di scuola aperta alternativa, un’avventura pedagogica fuori dagli schemi correnti cui hanno dato vita educatori dal pensiero forte. La struttura adibita in origine a ospitare i bambini dell’area parigina vittime delle restrizioni alimentari divenne presto un luogo di accoglienza per bambini e ragazzi soli e un rifugio sicuro per piccoli ebrei orfani o affidati dai genitori che cercavano di evitare loro la deportazione. Quando l’obbligo di portare la stella gialla divenne stringente, alla scuola di Sèvres gli insegnanti decisero di aggirarlo e per proteggere gli ebrei iniziarono a cambiare loro i nomi e dotarli di nuovi documenti.

Per quei bambini non fu cosa da poco: assumere nuove identità non fu facile. Su questa storia vera si innesta il romanzo: è così che Rachel, ragazzina con la passione per la fotografia, diventa Catherine e insieme ad altri deve lasciare la Maison, fuggire e trovare rifugi altrove attraverso la rete della Resistenza. Sempre con la sua Rolleiflex al collo per catturare scatto dopo scatto la bellezza nascosta nel quotidiano che anche in tempi bui. Scritto da Julia Billet (tratto da un suo romanzo) e realizzato insieme a Claire Fauvel La guerra di Catherine pubblicato ora da Mondadori nella collana Contemporanea (18 euro) è una graphic novel avvincente. Una storia che ha a che fare con la famiglia di Julia Billet, anche se poi nella scrittura c’è un grande lavori di fantasia: sua madre è stata una bambina nascosta e salvata nella Maison e dall’Opera di soccorso dei bambini. Dai 12 anni

Jordana Lebowitz, nipote di sopravvissuti ad Auschwitz rifugiatisi in Canada, ha 19 anni quando decide dopo una visita al grande campo di sterminio nazista di partecipare a Lueneburg, in Bassa Sassonia, al processo a Oskar Gröning. Ex membro delle SS conosciuto come “il contabile di Auschwitz”, Gröning era accusato di complicità in omicidio di oltre 300 mila ebrei, quasi tutti ungheresi. Soprannomiato “contabile” perché entrava in azione in quella zona del campo in cui gli ebrei venivano separati e spogliati delle loro valigie: si occupava della raccolta dei bagagli e degli effetti personali dei deportati, di recuperare banconote e monete e di inviarle negli uffici delle SS a Berlino.

Jordana ha le idee chiare e vuole assistere al processo come dovere morale nei confronti delle proprie radici e della propria famiglia ma anche come dovere di conoscere a fondo e tramandare la storia della Shoah. Quando il 21 aprile 2015 la porta del tribunale si apre Jordana con il cuore in gola sente che avrebbe guardato negli occhi uno spietato nazista; quello che si presenta ai suoi occhi è invece un vecchio che trascina i piedi, fragile, piccolo e gobbo, dall’aria affatto malvagia. Dall’incontro di Jordana con la scrittrice canadese Katy Kacer, che seguiva il processo per raccogliere testimonianze da raccontare efficacemente alle nuove generazioni, è nato questo libro, un diario del processo e insieme riflessione importante attorno a temi cruciali e attuali quali il giudizio della Storia, l’importanza della Memoria, la responsabilità individuale e la “banalità del male”. Ho guardato un nazista negli occhi è pubblicato da Sonda (14 euro). Dai 15 anni.