Rubriche

Scaffale basso. Shoah/1. Quel che i ragazzi devono conoscere

Rossana Sisti martedì 18 gennaio 2022

Noah è un bambino tristemente silenzioso. Mai una parola, un’espressione che mostri un’emozione. Nessun medico ha saputo dire perché. In lui però c’è posto per una sola grande ossessiva passione: il suo aquilone a colori sgargianti che appena può fa volare affidandolo al vento. Siamo a Cracovia, in Polonia, è il 1939 e i nazisti sono già i padroni occupanti del Paese. La guerra è cosa fatta e l’odio per gli ebrei pronto a mettere in moto la macchina della distruzione. Figlio più piccolo dei Baumann, famiglia ebrea dal cuore inaridito, disgregata e annientata anche dai tempi orribili che incombono, Noah è un peso per i genitori che non lo amano né se ne prendono cura. L’unico a occuparsene con lo slancio spontaneo dell’affetto fraterno, come il bene più grande, è suo fratello maggiore Joel, un ragazzone grande e grosso che cerca di proteggerlo con tutte le sue forze.

Ma fino a quando potrà farlo? Per gli ebrei è un crescendo di disprezzo, minacce, umiliazioni e violenze efferate. Dopo il trasferimento nel ghetto, dove i Baumann dividono una stanza con un’altra famiglia, gli Iller, che al contrario sono gente di una umanità rara, il programma nazista di annientamento arriva alla fase finale. E Noah tra tutti è il più fragile, anche se il destino ha per lui un percorso speciale. La Storia segue il corso che sappiamo, attraversata da orrori che il pudore consiglierebbe di tacere e che invece vanno raccontati perché sapere ciò che è successo è il solo mezzo per conservarne la memoria. L’aquilone di Noah (uovonero; 15 euro) gode della capacità dello scrittore spagnolo Rafael Salmerón di raccontare ai ragazzi la tragedia della persecuzione fino allo sterminio, attraverso una storia piena di durezze e di violenza ma anche di sentimenti alti e nobili che aprono alla speranza un’umanità che ha perduto completamente se stessa. Vivamente consigliato a ragazze e ragazzi dai 14 anni in su.

Quando il primo settembre 1939 con la dichiarazione di guerra della Germania alla Polonia, i nazisti bombardano Varsavia e pochi immaginano il tragico destino degli ebrei, Uri ha quattro anni. Sua mamma gli infila un paio di stivaletti nuovi perché, gli dice, dovranno camminare molto. Di lui sappiamo che ha già il pallino del disegno, una passione smodata che esercita sui muri o anche sui margini dei giornali, ovunque ci sia uno spazio bianco. Ma quando la guerra scoppia l’unica preoccupazione è sopravvivere. Suo padre, anche lui con l’estro del disegno, è già riuscito a lasciare la Polonia e a sconfinare in Unione Sovietica, a Bialystok, dove moglie e figlio cercano di raggiungerlo. Comincia così la lunga odissea di Uri e della sua famiglia, ebrei in fuga dai nazisti ma in un Paese che non solo nega loro la cittadinanza ma li considera nemici, di nuovo vittime di altrettante esclusioni e privazioni, da deportare in un campo di lavoro nel grande Nord, dove le condizioni climatiche sono proibitive.

Per gli Shulevitz iniziano anni di sofferenze, freddo e fame a cui ne seguono altri nella città di Turkesta, nella Repubblica Kazaka, dove al lavoro duro, alle indicibili sofferenze e ai tormenti della fame si aggiungono malattie gravi a cui anche il piccolo Uri sopravvive per miracolo. Il racconto autobiografico di Uri Shulevitz che si dipana nelle 254 pagine con le sue illustrazioni di Dopo la notte. In fuga dall’Olocausto (Einaudi Ragazzi; 15,90 euro) non cambia registro quando nel 1945 la Germania si arrende e la guerra finisce, perché il ritorno a casa della famiglia è altrettanto complicato, pieno di imprevisti, fatiche, difficoltà e momenti sconcertanti. Tra i quali, per esempio, la scoperta che a Varsavia, dopo tutto quel che è successo, gli ebrei sopravvissuti non sono i benvenuti. Per gli Shulevit dunque il viaggio non è finito. Dopo aver vissuto a Parigi, in Israele e infine a New York, Uri Shulevitz ha potuto realizzare il suo talento artistico diventando autore e illustratore di fama, vincendo nel 1969 la Caldecott Medal, il più prestigioso premio americano per l’editoria per l’infanzia. Dai 13 anni.

Questa è una storia tragica che finisce bene. Liliana Segre, oggi senatrice a vita della Repubblica, esordisce sempre così quando racconta ai ragazzi, suoi nipoti ideali, la propria vicenda di deportata e sopravvissuta al campo di sterminio. Anche se la sua testimonianza per forza di cose attraversa gli orrori perpetrati dai nazisti che ha visto e patito sulla propria pelle. Ma per Liliana Segre testimoniare è una missione, è rendere giustizia e dare parola a tutti quei bambini e ragazzi che non hanno potuto diventare adulti, travolti senza colpa e uccisi dall’odio folle e sconfinato del nazismo. Illustrata da Pia Valentinis questa nuova edizione di Scolpitelo nel vostro cuore (Il Battello A Vapore Piemme; 16,50 euro) è il viaggio nella memoria di Liliana, la bambina ebrea che a otto anni deve interrompere la scuola, espulsa dalle leggi razziali, a dodici lasciare Milano con il padre e, mentre i nonni vengono deportati e uccisi ad Auschwitz, tentare ma invano la fuga in Svizzera.

Respinti alla frontiera, arrestati e poi caricati su uno di quei convogli in partenza dal Binario 21 della Centrale di Milano, destinazione Auschwitz. Come abbia potuto sopravvivere, separata dal papà, in quell’inferno, resistendo a scenari di morte, a fame, freddo, percosse, a privazioni ed esperienze terribili e indicibili sono interrogativi a cui Liliana Segre cerca di rispondere ogni volta manifestando la pena per la ragazzina che è stata e la tenerezza per la sua voglia di vivere. A chi pensa che questa storia abbia dell’incredibile, la voce di Liliana Segre ribadisce il compito di ciascuno a credere nella propria forza, a superare le difficoltà. A camminare nella vita con coscienza e compassione, mai preda dell’indifferenza. A non avere paura della verità, contrastare il razzismo e coltivare e costruire la speranza di un mondo migliore. Dai 12 anni