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Roosevelt e la paura lezione sempre valida

Umberto Folena domenica 27 gennaio 2019
«L'unica cosa di cui aver paura è la paura stessa». Franklin D. Roosevelt pronuncia questa frase il 4 marzo 1933. Gli Stati Uniti sono attanagliati dalla paura. Soffrono della paura più terribile, perfino più della malattia e della morte: la paura della povertà, della disoccupazione, di non poter mantenere la propria famiglia, di finire letteralmente sulla strada. La Grande Depressione è una depressione dell'economia; ma è anche una depressione dell'anima. Vai talmente giù da avere la netta sensazione di non possedere né forze né risorse per tornare su.
La paura diventa tangibile. Si vede, si respira, si tocca, si mangia. Imprigiona e paralizza. È questa la paura che fa paura a Roosevelt, perché è l'unica paura che non lascia scampo e da cui non c'è salvezza: una dannazione senza redenzione. Roosevelt non commette nessuno degli errori sciagurati che è possibile compiere in questi casi. Primo: ripetere ossessivamente che non bisogna avere paura perché non è successo nulla, andando così contro l'evidenza. Gli americani hanno le loro buone ragioni per aver paura ma è necessario che si fermino, traggano un respiro profondo e uniscano le energie per uscirne. Buona è la paura che induce a usare prudenza per evitare il peggio; cattiva è la paura che ti paralizza, esponendoti fatalmente al peggio.
Secondo possibile sciagurato errore: cavalcare la paura, perfino alimentarla, indirizzandola nella direzione più conveniente per me, il mio partito, la mia lobby, gli interessi miei e dei miei sodali. La paura, se ben manipolata, può essere redditizia. Gli individui tenuti al guinzaglio della paura sono più facilmente controllabili. La paura genera incertezza e se ti presenti davanti alla persona impaurita e incerta impugnando qualche certezza, reale o fasulla, l'avrai in pugno e il potere sarà tuo.
È necessario agitare paure inesistenti? No. La Depressione era un fatto reale, concreto e devastante negli Usa degli anni Trenta. Ma se il pessimismo avesse prevalso, travolgendo tutto e affogando gli americani in uno tsunami di paura, forse nessun New Deal sarebbe stato possibile. Non occorre inventare nulla perché la cronaca fornisce generosa ogni mattone per costruire la paura. Sbarchi, delinquenza, un'economia che stenta a riprendersi... Magari ieri andava peggio, ma chi se lo ricorda? Furti e rapine sono in calo, ma la percezione è un'altra e un antidoto alla paura è una pistola nel cassetto o in tasca, con una legge che ti consenta di usarla con maggior disinvoltura. Prima spara, poi (semmai) pensa: non si fa già così con le parole, sui social?
I mass media, di fronte all'invito rooseveltiano, sono come sempre ambigui. Da un lato sono i migliori alleati dei moltiplicatori di paura: con il loro spot illuminano sapientemente solo gli aspetti cattivi, sbagliati, negativi della cronaca, ancora e ancora, dando la sensazione che tutto sia malsano. Dall'altro lato potrebbero invece illuminare l'intero palcoscenico, comprese le aree buone, positive e senza usare ideologicamente lo spot. I media – tutti, dalle antiche radio e tv al web – possono annichilire il pensiero critico, ma anche esaltarlo. Possono spingere a reagire alla paura in forme distruttive o costruttive, alimentando odio e risentimento o rispetto e collaborazione; predare o donare, questa è l'alternativa. Dipende da chi li possiede e li usa, i media, compreso chi finge di lasciarli in mano alla gente ma in realtà controllandoli. Il pensiero di Roosevelt vale ancora? Certamente. E la prova è che oggi un Roosevelt verrebbe ficcato nel tritacarne e messo a tacere. Lui farebbe paura, e tanta, ai facitori di paura.