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Riparte il Piano irriguo nazionale, ma per avere acqua servono più soldi

Andrea Zaghi domenica 17 luglio 2016
Contenti e in attesa che davvero si riparta con i lavori. Pare sia questo l'atteggiamento degli agricoltori dopo l'annuncio del Governo circa la ripresa, a settembre, del Piano irriguo nazionale. Che dice a tutti una cosa seria: al di là degli elogi sulla grande qualità delle produzioni agroalimentari italiane, oltre le battaglie per la difesa delle nostre buone tradizioni agricole, occorre pur sempre ricordare che l'agricoltura ha bisogno di acqua e che questa va controllata, gestita e usata per bene. Non solo perché meglio si usa la risorsa idrica e meglio stanno i campi, ma anche perché del controllo dell'acqua ne beneficia l'intero territorio, città comprese. Per realizzare il Piano, tuttavia, ci vogliono tanti soldi. E per questo negli ultimi tempi tutto si era fermato. L'annuncio della ripresa dei lavori – dato dal ministro delle Politiche Agricole Maurizio Martina nel corso dell'Assemblea 2016 dell'Associazione nazionale delle bonifiche e irrigazioni (Anbi) – è quindi cosa davvero buona. Soprattutto se si pensa che al residuo di cassa del precedente stanziamento (circa 300 milioni), il Governo ha deciso di aggiungerne altri 500. Certo, anche con il riavvio di settembre, il Piano dovrà fare ancora molta strada. La stessa Anbi ricorda che questo, deliberato nel 2004, prevede investimenti per settemila milioni di euro; cifra enorme della quale fino ad oggi si sono resi disponibili circa 1.600 milioni. Ancora alla vigilia dell'Assemblea di quest'anno, l'Associazione delle bonifiche ha ricordato che «allo stato attuale esistono notevoli necessità per manutenzioni straordinarie ed adeguamenti degli impianti irrigui esistenti, nonché per nuove opere ora più che mai indispensabili anche in relazione alla sempre più accentuata variabilità climatica». La chiave per capire l'importanza di mettere mano al governo dell'acqua in Italia (per l'agricoltura e non solo), sta proprio negli ultimi due vocaboli usati dai tecnici dell'Anbi: variabilità climatica. Con tutto ciò che ne consegue: grandi siccità ma anche grandi, eccessive e improvvise disponibilità d'acqua. In entrambi i casi, in un territorio mal governato dal punto di vista idrico, tutto questo significa guai anche seri.Che il Paese – non solo gli agricoltori –, sia favorevole a spendere per questo argomento, pare sia anche confermato dalle indagini. Stando ad Inea (l'Istituto di economia agraria), ogni famiglia italiana sarebbe disposta a spendere mensilmente 7,80 euro per mantenere l'attuale paesaggio dovuto all'irrigazione. Senza contare che l'attuazione di un piano straordinario di manutenzione del territorio creerebbe almeno 50 mila nuovi posti di lavoro, oltre all'aumento a due cifre della produttività agricola e quindi del valore della terra.