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Rete 4: il “2020” del Covid a Milano

Andrea Fagioli domenica 9 maggio 2021
«I virus non hanno organi locomotori. Ma molti di loro hanno viaggiato in tutto il mondo. Non corrono. Non camminano. Non nuotano. Non strisciano. Si fanno dare un passaggio». È questo il pensiero di Stephen S. Morse che appare in apertura del documentario Milano 2020 andato in onda ieri sera su Rete 4. La frase dell'epidemiologo americano precede i titoli di testa con in sottofondo le notizie sulla diffusione del Coronavirus in ogni continente. Poi la voce dell'allora presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che annuncia la chiusura totale dell'Italia. A quel punto un drone ci porta sulle strade deserte del capoluogo lombardo e delle principali capitali europee fino a che l'appropriato commento musicale lascia spazio alle sirene delle ambulanze. Da qui in poi, con già chiaro il senso della pandemia, Milano 2020, ideato dal giornalista di Avvenire Vito Salinaro (che firma il documentario con Francesco Invernizzi e Stefano Paolo Giussani), racconta i primi 70 giorni dell'emergenza sanitaria da quattro punti di vista drammaticamente privilegiati: gli occhi, ma anche il cuore, degli uomini e delle donne che operano nell'assistenza ospedaliera, nelle forze dell'ordine, nel volontariato e nell'informazione. Ottiche diverse che dimostrano come il principale merito di Salinaro e degli altri autori sia quello di avere intuito che a distanza di tempo il racconto di un dramma poteva tramutarsi in messaggio di speranza. Hanno per questo raccolto testimonianze e realizzato immagini che una volta sapientemente montate sarebbero state capaci di catturare i telespettatori per oltre un'ora e mezzo. Mentre a Rete 4 va riconosciuto il coraggio di aver programmato il sabato in prima serata un documentario come questo, che giustamente si chiude con la dedica «agli affetti che abbiamo perso e a quelli che abbiamo trovato e che hanno fatto di tutto per salvarci, rincuorarci, proteggerci».