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RAVA, L'INNAMORATO TRADITO

Massimiliano Castellani venerdì 11 maggio 2018
Oggi se diventi campione del mondo, ti ricoprono d'oro e di onori, al geometra Pietro Rava non è andata così. Eppure è stato uno dei ragazzi del '38. Allievo scelto del tenente degli alpini Vittorio Pozzo, oro ai Giochi di Berlino 1936, due anni dopo alzava al cielo di Parigi la Coppa Rimet. Campione del mondo. Nella triade: Olivieri-Foni-Rava, il geometra Pietro in 15 match disputati con la maglia della Nazionale stabilì il suo personale record di imbattibilità, 12 vittorie e 3 pareggi. Rava, l'ho incontrato quando era ormai giunto alle sue ultime primavere (è morto novantenne, nel 2016), nella sua umile dimora torinese davanti allo stadio Filadelfia, la "casa" degli eterni rivali del Torino. Tra un caffè e l'altro, preparato con amore dalla moglie Gianna, raccontava amaro: «Io e Foni siamo stati gli unici giocatori della Nazionale a non avere avuto neanche una lira dalla Federazione. Adesso prendo 20 euro al mese dall'Inps, nonostante le 30 presenze in azzurro e i 14 anni da titolare nella Juventus... Noi se la domenica si perdeva, al lunedì si stava in casa, per rispetto dei tifosi». Eppure i tifosi della Juve si erano dimenticati di Rava e questa in fondo, più delle ristrettezze economiche, era la cosa che lo rendeva più triste. Da dietro il vetro della cucina fissò lo stadio Filadelfia e con gli occhi lucidi mi disse: «Che strano… in fondo mi hanno rispettato e voluto più bene quelli del Toro».