Rubriche

Questa vita del «dopo», totalmente vera e piena

Salvatore Mazza giovedì 25 giugno 2020
Immagino che sia inevitabile, per chiunque come me si ritrovi a un certo punto con la vita improvvisamente sottosopra. La separazione del tempo, della tua storia, è netta, insanabile, definitiva. Non c’è alcuna possibilità di recupero, di ritorno. È una sensazione che mi è precipitata addosso quasi subito dopo che mi è stata diagnosticata la Sla, e non mi ha lasciato più. Neppure per un attimo. Ac – dc, il prima e il dopo. Prima e dopo la malattia, ovviamente. Quando ero ancora padrone del mio corpo, e quando ho perso ogni controllo su di esso. Quando ancora mi sentivo un leone, nonostante l’età, e quando ho iniziato a sentirmi dì cristallo. Mentirei se dicessi che non penso al “prima” come a una sorta di età dell’oro. Mi definivo un pigro condannato all’iperattività, e in effetti non stavo fermo un attimo. Quasi una trottola. Ero capace di rientrare da un viaggio intercontinentale e andare a cena fuori come se fosse la cosa più normale del mondo, favorito in questo probabilmente anche dalla mia impermeabilità al jet lag, e – forse sbaglio, ma non credo – non mi ricordo di aver detto una sola volta alle mie figlie “no, adesso no perché papà è stanco, più tardi…”, che si trattasse di giocare, aiutarle a fare i compiti o accompagnarle da qualche parte. Detto questo, con altrettanta sincerità devo dire che non sto vivendo il “dopo”, questa mia seconda vita fatta di immobilità, di panorami immutabili, sempre gli stessi giorno dopo giorno, come se fosse una specie di mio inferno privato. No, niente di tutto questo: quello che voglio dire è che, in un modo o nell’altro, la mia è una vita “normale”. Una normalità completamente diversa rispetto a prima, una normalità “altra”, ma pur sempre normalità. Ho impegni – perfino troppi –,
lavoro, vedo molti amici e quasi li costringo a prenotarsi per farmi visita; faccio perfino progetti a lungo termine. È vero, a quest’ultimo riguardo ho imparato a usare molto di più il condizionale, nel senso che ho molto più chiara la misura della mia precarietà, ma ciò non toglie che sono spesso lì a pensare a lungo termine. Certo, la quasi frenesia di un tempo è svanita. Tutto è lento, misurato alla mia forza – o non forza, meglio –, mi stanco molto e molto presto, e tutto potrei dire di me oggi tranne che sono una trottola. Ma la mia vita “dc”, per così dire, è una vita piena, vera, non a metà, né a scartamento ridotto. Né tanto meno residuale. E pienamente mia. (36–Avvenire.it/rubriche/Slalom)