Rubriche

Quelle tre lettere che mi hanno cambiato la vita

Salvatore Mazza giovedì 20 settembre 2018

Tre lettere possono cambiare la vita. Rovesciarne in pochi secondi la prospettiva. Perché non c'è niente da fare, per quanto uno pensi di essere "saggio" finisce che viviamo tutti un poco come Abraracourcix, il capo del villaggio gallico di Asterix: con la paura che un giorno il cielo possa caderci sulla testa, «ma domani – ci ripetiamo – no di sicuro». E invece succede che quel giorno arrivi, senza aspettare domani. E tutto ti rovina addosso. Bastano tre lettere: Mnd, che sarebbe l'acronimo (in inglese) di "malattia del motoneurone". Questo il termine più corretto, in ogni caso si tratta della Sla, Sclerosi laterale amiotrofica; e non è piacevole – per usare un eufemismo – sentirsi dire che si tratta del male che ti ha colpito. Soprattutto quando sai cosa ti succederà: poco a poco, giorno dopo giorno, come se migliaia di micro interruttori si staccassero l'uno dopo l'altro, i tuoi muscoli perderanno forza irreversibilmente, farai sempre più fatica a parlare fino a quando la voce non se ne andrà; e alla fine, perfettamente lucido e prigioniero di un corpo che non ti risponde più, smetterai di respirare. Clic.
Era cominciato con un dito, l'indice della mano destra, che non rispondeva ai comandi come avrebbe dovuto. Forse a causa di un tunnel carpale? Possibile, e la prima risposta ecografica sembrava confermarlo. Ma c'erano quei muscoli delle braccia che si contraevano da soli, come in una danza impazzita; e quando si hanno due medici in famiglia non si trascura nulla, né si perde tempo: «Facciamo anche un'elettromiografia». Ed è lì che per la prima volta vengono fuori, come ipotesi possibile, quelle tre lettere. Col consiglio di rivolgersi a un centro specializzato. E così il 6 luglio del 2016, con mia moglie, passo il giorno del 30º anniversario di matrimonio al Centro Nemo, al Policlinico Gemelli. La prima visita con il professor Mario Sabatelli, che non si sbilancia: «Bisogna vedere». Perché per fare una diagnosi, come scoprirò, ci vuole tempo. Nel mio caso otto mesi, tra alti e bassi, nutrendo speranze a dispetto della consapevolezza che troppi di quei micro interruttori si andavano staccando. Fino al 20 marzo 2017, quando i segnali non erano più equivocabili. Ricordo perfettamente lo scambio di sguardi tra Sabatelli e la dottoressa Amelia Conte, e non ci sarebbe stato bisogno di aggiungere parole. Quel giorno le tre lettere che per tanto tempo avevo temuto sono diventate parte della mia vita.
(«Slalom» è un nuovo appuntamento quindicinale)