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Quelle come la Samp, felici pure di perdere

Italo Cucci venerdì 30 ottobre 2009
Riccardo Garrone è uomo ricco e potente ma - caso strano - anche pieno di buonsenso. Da come amministra la sua Sampdoria si capisce che non appartiene all'antica categoria calcistica che Giulio Onesti battezzò mezzo secolo fa «ricchi scemi». Garrone certo non s'è divertito, l'altra sera, a veder soccombere la sua Samp sul campo della Juve sotto una gragnuola di gol, cinque, in cambio di un autografo di Pazzini. Eppure oso immaginare che borbottando fra sè e sè abbia partorito un pensiero non consolatorio ma assolutamente razionale: «Così gli passa l'idea di poter vincere lo scudetto...».
Quel pezzetto di tricolore inventato da Gabriele D'Annunzio all'alba degli anni Trenta porta storicamente bene solo a tre squadre - Juventus, Inter e Milan - che sono andate oltre l'idea romantica e patriottica del Vate per farsi vere e proprie industrie pallonare. Quando si dice con malcelato orgoglio che il Calcio SpA si colloca per fatturato fra le prime dieci aziende nazionali si dimentica - volutamente - che il fatturato lo fanno soprattutto Quelle Tre. Che di tanto graziosamente lasciano qualche scudetto «in libera uscita», come disse Gianni Agnelli quando il tricolore se l'aggiudicò il Napoli di Maradona. E la «libera uscita» è di solito piena di sorprese, spesso amarissime, autentici richiami a ritornar nei ranghi secondo una perversa interpretazione delle parole di De Coubertin che riteneva importante la partecipazione al gioco sportivo più che la vittoria; e infatti il Barone voleva solo delimitare la zona del potere.
Una delle sorprese più amare è il fallimento. Non ci chiediamo mai perchè siano praticamente sparite dalla scena le antiche Signore della Vittoria che quando ancora non si assegnava lo scudetto si aggiudicavano il torneo della Serie A: la Pro Vercelli (7 volte!), il Casale e la Novese. In verità, non poterono reggere il confronto con le riccone del tempo. Amen. Ma vogliamo vedere cos'è successo nel dopoguerra alle Ribelli dello Scudetto? La Fiorentina ci ha messo trent'anni, ma ha pagato con il fallimento il suo secondo tricolore. E così il Bologna, il Cagliari, la Lazio, il Verona, il Napoli e la Sampdoria (appunto). Tutte felici un giorno, un mese, neanche un anno, eppoi libri in tribunale, cadute drammatiche, polemiche feroci per il peggior contenuto del calcio: il denaro.
In questi giorni Roma è in subbuglio: la Lazio sta andando male e tuttavia ha un andamento incerto, oggi su domani giù, e tira a campare con le alchimie finanziarie di Lotito. La Roma no, la Roma perde i pezzi e le sconfitte del campo si trasformano in dramma popolare, con un quotidiano dibatito che non tratta più di calcio ma di soldi, soldi, soldi. E non è la prima volta. Ciclicamente, diciamo ogni vent'anni, allo scudetto succede la crisi economica, alla grande festa la depressione, al delitto di lesa maestà (cercar di essere Juve, Inter o Milan è peccato) il duro castigo del ritorno alla normalità - quando va bene - o alla povertà.
Credo che se meditassero su queste vicende, i Signori del Calcio si batterebbero per imporre una più giusta esistenza al Grande Gioco, e invece hanno accettato che la povera B fosse addirittura scorporata, non rendendosi conto che prima o poi saranno scorporati anche loro e nascerà un Supercampionato d'Europa dove gli sarà difficile metter piede. E finalmente capiranno cos'è davvero la Sudditanza Psicologica.