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Quella giusta distanza tra i genitori e i figli

Mariolina Ceriotti Migliarese giovedì 28 marzo 2019
Uno dei temi più importanti e delicati nel mondo delle relazioni è quello della "giusta distanza". Mi riferisco a quella particolare capacità che ci permette di essere vicini e intrattenere rapporti di intimità, senza però mai perdere il senso preciso e sano del nostro confine e della nostra inalienabile identità. La "giusta distanza" tra persone che si vogliono bene non è mai semplice da definire; trovarla e mantenerla significa poter stare ben centrati sul proprio sé e rispettare l'altro, senza scivolare nell'invadenza, ma anche senza che l'altro si senta abbandonato o non compreso. Nel rapporto genitori-figli, l'aggiustamento progressivo della distanza è un tema davvero cruciale: si parte infatti dalla più prossima delle relazioni (il bambino nel ventre della madre) per arrivare nel tempo alla distanza che permette lo scambio rispettoso ma paritario del rapporto tra adulti. In mezzo c'è lo snodo cruciale dell'adolescenza, con una ridefinizione dei confini che porta l'adolescente a diventare un adulto con identità e progetti, mentre l'adulto accetta di lasciargli il posto e di invecchiare.
Pensavo a questo ieri, mentre leggevo su un periodico l'intervista a tre delle ragazzine che hanno partecipato il 15 marzo alla manifestazione in difesa dell'ambiente, organizzata dal movimento spontaneo Fridays For Future: un movimento di ragazzi nel quale si avverte come il sollevarsi di una potente energia vitale e auto-affermativa, rivolta al futuro. Lo pensavo, perché tutte tre le intervistate esprimono con forza la preoccupazione che gli adulti possano appropriarsi del loro movimento: i ragazzi temono che gli adulti, i quali hanno marciato con loro e li hanno sostenuti e accompagnati con entusiasmo in questa avventura, possano insediarsi nello spazio nuovo e ancora tutto da esplorare nel quale sognano di avventurarsi.
Questa preoccupazione mi sembra un elemento insieme nuovo e positivo, perché esprime, in modo inconsapevole e non conflittuale ma deciso, proprio la necessità di ristabilire chiari confini simbolici tra il mondo adolescente e il mondo adulto, confini che sono andati perduti. Le ultime generazioni di adolescenti sono diverse da quelle dei decenni precedenti: la loro conflittualità con i genitori è in generale molto bassa, e non sembrano avvertire un forte desiderio di separarsi psicologicamente da loro. Sul piano delle cose, sono molto più indipendenti che nel passato: fin da bambini vanno all'estero e imparano le lingue, dicono la loro in ogni decisione che li riguarda, gestiscono precocemente e liberamente la loro sessualità con il nostro consenso. In questi percorsi, il genitore appare più come un accompagnatore che come una guida e ciò che più teme è da un lato che il ragazzo perda delle occasioni, dall'altro che lo escluda dalla sua intimità. Per questo motivo lo asseconda, scegliendo di essergli amico: sfugge così alla necessità strutturante di prendere posizione, cosa che richiederebbe di conoscere e dichiarare i propri valori, quelli che fanno da guida alle sua vita.
Nella carenza di valori-guida che diano senso e speranza, il mondo degli adulti rincorre la vitalità dei ragazzi e si inserisce in tutti i loro spazi, nei social come nella realtà. Anche l'idea di conoscere il loro mondo per proteggerli nasconde spesso un senso di sfiducia e un bisogno di controllo: non siamo certi di saper trasmettere loro le coordinate per imparare ad affrontare la vita da soli, e dunque scendiamo in campo invece di lasciarli liberi di giocare la loro partita.
Ma il segnale che ci mandano oggi questi ragazzi va ascoltato: il futuro appartiene a loro e alla loro capacità di progettarlo, attraverso prove ed errori. A noi il compito di fare da sponda con un ascolto attento, di incoraggiarli e se serve guidarli. Perché il passare degli anni, se ben vissuto, non è venire relegati nell'insignificanza, ma mettere a disposizione un'eredità fatta di pensieri e di esperienza. I nostri figli ce ne saranno grati.