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Quel fuoco d’Olimpia che tuttavia s’accende

Mauro Berruto mercoledì 11 marzo 2020
Domani nel cuore del Peloponneso si accenderà il sacro fuoco olimpico, secondo un emozionante protocollo che, dopo una coreografia di trentacinque sacerdotesse–attrici vestite con una lunga tunica turchese, porterà una di loro a sporgere una torcia all’interno dello specchio parabolico concavo che concentrerà i raggi del Sole. Succederà vicino al Tempio di Hera, nel sito archeologico dell’Antica Olimpia. Nelle ultime occasioni 30mila persone hanno trattenuto il fiato fino all’accendersi della fiamma, sollevata dalla “grande sacerdotessa” in un’atmosfera mistica, sottolineata dal suono di arpe, flauti e tamburi. Domani, l’immenso onore, toccherà all’attrice Xanthi Georgiou che, dopo aver recitato una preghiera ad Apollo, cederà il fuoco alla prima tedofora, Anna Korakaki, medaglia d’oro ai Giochi di Rio 2016 per la Grecia nel Tiro a Segno, specialità pistola a 25 metri. La Korakaki, dopo aver sollevato la torcia accesa in una mano e un ramoscello di ulivo nell’altra, lascerà lo stadio di Olimpia e si porterà nei pressi della stele in memoria del barone Pierre de Coubertin, il cui cuore è sepolto proprio lì, dove passerà la torcia nelle mani del secondo tedoforo, Mizuki Noguchi, anche lei medaglia d’oro olimpica, nella Maratona di Atene 2004, la gara vinta, nella versione maschile, da Stefano Baldini. Tre donne, l’ultima delle quali in rappresentanza del Giappone, Paese che organizzerà nella prossima estate i Giochi. Domani, tuttavia, non ci saranno 30mila persone nello Stadio di Olimpia. L’atmosfera della cerimonia sarà equivalente a quella percepita nelle immagini viste nello scorso weekend, quando il nostro campionato di calcio si è disputato a porte chiuse. E il fuoco, che dalle mani di quelle due grandi atlete incomincerà il suo viaggio per il mondo, chissà se in Giappone arriverà mai. Oggi tanti Paesi, specialmente del mondo occidentale, sembrano muoversi in maniera ancora incredula di fronte allo tsunami rappresentato dal dilagare del nuovo coronavirus. Champions League, Europei di calcio, Giochi Olimpici stessi sono manifestazioni che sembrano correre un enorme rischio di essere posticipati o annullati, seppure, a oggi, nessuno voglia esprimersi. Non vuole esserci giudizio in quello che scrivo, né alcuna ricerca di responsabilità. Non è questo il tempo di cercare colpevoli. È il tempo, invece di riscoprire (o scoprire?) un altissimo senso di responsabilità per il nostro Paese e, contemporaneamente, fare un enorme gesto di altruismo rispetto a quelle porzioni d’Europa e del Pianeta che, in una specie di incredibile distopia al contrario, sembrano non voler vedere o non voler capire. Certamente da questa vicenda esce sconfitta l’idea di Europa intesa come una, forte, capace di rispondere in maniera collettiva alle grandi sfide. L’Europa che vorrei, gli Stati Uniti d’Europa per rendere meglio l’idea, sono un luogo capace di reagire insieme a un’opportunità, così come a una minaccia, mettendo in campo i propri punti di forza, laddove i singoli Paesi che la compongono manifestano un punto debole. Quel fuoco domani si accenderà, comunque. E mai un fuoco potrebbe essere più simbolico: calore e luce di cui oggi abbiamo bisogno come forse mai prima. Una scintilla, domani, diventerà fuoco e percorrerà il mondo intero, rappresentando l’idea di un’umanità migliore che si vuole dare appuntamento a Tokyo, il prossimo 24 luglio. L’accensione del fuoco ad Olimpia, così come quello dei bracieri che ho visto infiammarsi ad Atene nel 2004 e a Londra nel 2012 dal cuore di uno stadio che raccoglieva su di sé lo sguardo del mondo, mi ha sempre fatto inumidire gli occhi. Domani, non so. Domani, davvero, non riesco neppure a immaginare.