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Quel che ci insegna la meditazione buddista

Cesare Cavalleri mercoledì 13 marzo 2019
Ben venga un libro come Il silenzio è cosa viva di Chandra Livia Candiani, che introduce all'arte della meditazione buddista (Einaudi, pagine 162, euro 12,00). Il contatto con la sapienza orientale arricchisce il nostro sentire occidentale, incentrato sul principio di non contraddizione, con l'apporto del principio di identità; la nostra antropologia, che rischia di ridurre l'uomo alla sola ragione, con la valorizzazione del “cuore” (volontà, emozioni…), si avvia a una
definizione più completa di “persona”. Naturalmente, va evitato ogni sincretismo e va rifuggita la tentazione di ridurre la Via sapienziale dell'Oriente a un florilegio di aforismi e di brevi fiabe suggestive, anche se l'autrice intitola un capitolo “Frantumi”, e se in una breve recensione è inevitabile riferire citazioni. Ascoltiamo: «L'assillo di dover capire equivale a un atteggiamento di cattura e di riduzione al già noto. Ma comprendere può essere invece ascoltare e aspettare. È possibile ascoltare bene solo quando si tollera di non capire». Molto interessanti le considerazioni sulla necessità di non rifuggire dalle inevitabili sofferenze, bensì di assaporarle nella loro realtà, rinunciando all'autonarrazione a cui siamo portati. Lo spiega Buddha nel Discorso della freccia: «Chi ha ricevuto gli insegnamenti spirituali sperimenta, esattamente come chi non li ha ricevuti, sensazioni piacevoli, spiacevoli, e né piacevoli e né spiacevoli. Ma qualcosa li distingue profondamente. Il non praticante è come se fosse colpito da una freccia e subito dopo fosse colpito da una seconda freccia, così da percepire il dolore di due frecce. Questa seconda freccia è la sensazione mentale di avversione dei confronti delle sensazioni dolorose e di attaccamento nei confronti di quelle piacevoli. È questa aggiunta al nudo, puro sentire che crea la sofferenza non necessaria di cui la Via buddista ci insegna a liberarci». Chandra Livia Candiani – poetessa e traduttrice di testi buddisti – afferma che le linee guida dell'etica buddista sono la nostra vera natura come la natura del fuoco è quella di bruciare: «Sono principî comuni a tutte le visioni interiori, religiose o laiche: non uccidere, non prendere ciò che non ci è dato, non creare sofferenza con la sessualità, non mentire, non assumere intossicanti». Perfetto! È l'esposizione, da parte di una studiosa non credente, della legge naturale, quella “grammatica” iscritta nel cuore dell'uomo, che la Rivelazione ha esplicitato nei Dieci Comandamenti. “Consapevolezza” e “responsabilità” sono due parole fondamentali nel buddismo, come racconta un'antica favola, peraltro africana. Scoppia un terribile incendio nella foresta, gli animali fuggono terrorizzati. Il leone vede un colibrì che vola nella direzione opposta: «Dove credi di andare? C'è un incendio, dobbiamo scappare». Il colibrì rispose: «Vado al lago, per raccogliere acqua nel becco da buttare sull'incendio». «Sei impazzito? Non crederai di spegnere un incendio gigantesco con quattro gocce d'acqua?». Al che il colibrì concluse: «Io faccio la mia parte».