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Quei racconti postumi di Calvino che forse non voleva pubblicati

Cesare Cavalleri mercoledì 30 agosto 2017
La cultura accademica induce a pubblicare libri come I Passaggi obbligati di Italo Calvino. Autobiografia, memoria, identità, di Luca Cottini, giovane italianista della Villanova University di Filadelfia (Longo , pagine 136, euro 16). Testo dottissimo e documentatissimo, presumibilmente rivolto in primis ai colleghi, dato che dà per acquisita la conoscenza dell'universo calviniano, compresa l'anagrafe dello scrittore. Ma anche chi eventualmente non ricordasse che Italo Calvino è nato il 15 ottobre 1923 ed è morto il 19 settembre 1985, trova nelle pagine di Cottini sàpide provocazioni e approfondimenti sul rapporto tra autobiografia e letteratura.
Si sa, anche prima di Flaubert (Madame Bovary c'est moi!), che ogni scrittore parla sempre di sé stesso anche sotto copertura, ed è nota la reticenza di Calvino per un'esplicita autobiografia. È proprio questa reticenza ad aver indotto Cottini a studiare un'opera postuma pubblicata nel 1990 da Esther Judith Singer, moglie dello scrittore, formata da cinque testi raccolti sotto il titolo del primo, La strada di San Giovanni.
A suo tempo l'antologia suscitò polemiche fra i critici, oltre che una controversia sulla soglia del Tribunale fra Garzanti e Mondadori per questioni di diritti editoriali. Sandra Petrignani, Geno Pampaloni, Maria Corti avrebbero desiderato un'edizione filologicamente più rigorosa; Renato Minore, Cesare Garboli, Cesare Segre, Pietro Citati, Alfredo Giuliani e Claudio Marabini apprezzarono comunque la pubblicazione, mentre Giuseppe Bonura e Angelo Guglielmi ne lamentarono l'incompiutezza formale sostenendo che Calvino mai avrebbe pubblicato tale opera in vita. Dal canto suo, Cottini ritiene che La strada di San Giovanni «non costituisce uno spregio alla volontà dell'autore, ma si presenta al lettore come una testimonianza postuma della ricerca incompiuta sulla propria identità». Dunque lo studioso transatlantico prende in considerazione i cinque racconti unificandoli sotto il titolo di Passaggi obbligati, come forse Calvino aveva in mente, stando a un abbozzo di indice lasciato su un analizzatissimo “cartoncino”.
Metodologicamente, Cottini imposta la sua indagine sul “chiasmo logico” di quattro assiomi calviniani: «Essere è ricordare. Ricordare è raccontare. Raccontare il proprio vuoto di memoria. L'io è assenza». E già da questa enunciazione si avverte che l'esercizio letterario di Calvino è un'elegante acrobazia senza rete sul baratro del Nulla.
Il primo racconto, La strada di San Giovanni (1962, dunque Calvino aveva 39 anni), segna il distacco di Italo dal mondo campagnolo, illuminista e comunista di Mario, suo padre: «L'insofferenza verso il mondo finito del padre trova espressione nel suo [di Italo Calvino] continuo riferirsi al mare, evocato di continuo nelle sue opere come segno dell'infinito». Autobiografia di uno spettatore (1974) era nato come prefazione al libro Quattro film di Federico Fellini, ed è utile ricordare che sia il regista, sia lo scrittore hanno fatto il loro apprendistato di lettori e disegnatori di fumetti avendo come (discutibile) maestro Cesare Zavattini. Da qui l'ambizione calviniana di raggiungere «una precisione d'evocazione ottenuta attraverso l'esasperazione della caricatura».
Ricordo di una battaglia fu pubblicato, in versione ridotta, sul “Corriere” il 25 aprile 1974, e, scrive Cottini, «il racconto di questa battaglia [attorno al paesino di Baiardo, di cui Calvino non ricorda quasi nulla] si trasforma, da una parte, in una metafora della difficoltà a comunicare il senso dell'esperienza partigiana alle nuove generazioni, e dall'altra in un'occasione per discutere autoriflessivamente di come la memoria funzioni». Nel racconto La poubelle agréée (Parigi, anni Settanta) il rito dell'affidamento della pattumiera casalinga alla Nettezza urbana diventa un'offerta agli inferi e un gesto di convivenza civile.
Infine, il racconto Dall'opaco è un tentativo di «razionalizzazione dell'immaginario», quando il paesaggio del golfo di Sanremo viene trasformato «in un'astrazione geometrica» nella riflessione di Calvino «sulla propria posizione nel cosmo a partire dal proprio punto d'osservazione». Anche dalla ricerca accademica, come si vede, c'è molto da imparare.