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Quei punti maiuscoli nella piccola-grande Italia

Mauro Berruto mercoledì 11 dicembre 2019
Conegliano Veneto è un comune della provincia di Treviso che conta 35.239 abitanti. Civitanova Marche, provincia di Macerata, arriva a 42.435 anime. Due comuni lontani nello spazio, nella mentalità, nello stile di vita, ma che condividono il fatto di avere una squadra di pallavolo forte, anzi molto forte. Una squadra femminile, quella veneta, che ruota intorno alle qualità fisiche e tecniche devastanti (per le avversarie) di Paola Egonu, opposta anche della nazionale italiana. Una squadra maschile, quella marchigiana, che ha un ruolo prestigioso nella storia del volley italiano: un club nato a Treia (che di abitanti ne fa 9.255) dove ha sede il gruppo industriale cui è legato indissolubilmente da quasi trent'anni e che di stelle ne ha tantissime, fra le quali brilla quella dello schiacciatore di origine cubana Osmany Juantorena, protagonista oggi con la maglia azzurra e nipote di quell'Alberto Juantorena, detto El caballo, vincitore di due medaglie d'oro ai Giochi Olimpici di Montreal 1976 sui 400 e sugli 800 metri. Domenica scorsa queste due squadre, ambasciatrici del nostro volley, erano ancor più lontane nello spazio, ma legate da uno stesso obiettivo sportivo: il mondiale per club di pallavolo che si disputava a Shaoxing, in Cina, per le ragazze di Conegliano e a Betim, in Brasile, per i ragazzi di Civitanova.
La pallavolo è uno sport planetario, la Fivb (la federazione mondiale) mette insieme più nazioni di quanto riesca a fare l'Onu e alcune recenti ricerche certificano la pallavolo come il terzo sport più praticato nel mondo, dopo il nuoto e il calcio: non c'è dubbio alcuno che a pallavolo giochino centinaia di milioni di umani. È uno sport talmente amato da aver generato altri due format: il beach volley, diventato uno degli eventi più significativi dei Giochi Olimpici estivi e una versione per amanti della montagna, lo snow volley, che sta tentando di bussare ai Giochi Olimpici invernali.
Insomma, uno sport che si gioca letteralmente ovunque nel pianeta.
Domenica scorsa le nostre due squadre, a distanza di poche ore di fuso orario, sono diventate entrambe campioni del mondo. Includendo centenari e neonati, 77.674 nostri connazionali saranno scoppiati d'orgoglio. Pochi po-po-po-po-po-po e probabilmente non troppa folla ad aspettare questi atleti in aeroporto al loro ritorno in Italia, però una consapevolezza che deve spingere a una riflessione: anche lo sport ipertecnologico e globalizzato di oggi può riservare "piccole" storie felici. Conegliano e Civitanova sono due squadre zeppe di campioni, hanno budget importanti, non c'è dubbio, ma restituiscono tutta la bellezza romantica dell'idea che sta a monte delle loro campagne acquisti e investimenti. Per una volta, più che ai campioni, viene da fare i complimenti ai presidenti e ai direttori sportivi che hanno visto così lontano, che hanno saputo immaginare una mezza follia, ovvero che due piccoli Comuni della provincia italiana potessero, un giorno, salire sul tetto del mondo. Si tratto, in fondo, di fare tre cose: 1) prendersi cura di un dettaglio (che sia pallavolo, un manufatto artigianale, un'opera architettonica, una piazza, una ricetta, una chiesa) innamorarsene e averne cura, rispetto, manutenzione quotidiana; 2) assumersi la piena responsabilità di ciò che si sta costruendo rinunciando a ogni possibile alibi; 3) saper fare le prime due cose non solo quando è facile, ma soprattutto quando è difficile farle. Non è un lavoro per tutti, che si tratti, o meno, di sport. È un lavoro da campioni, proprio come quelli che poi, in campo, mettono a segno l'ultimo punto. È il lavoro di quella squadra che sta dietro la squadra, di chi fa le cose non solo con la tecnica, ma con tutta la passione di quel mondo di cui un giorno, magari, si diventa campioni.