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Quei giganti discreti che difendono la terra

Paolo Massobrio mercoledì 8 settembre 2021
Come sono i giganti? Come quello del Duomo di Milano, con uno sguardo fiero. L'ho pensato quando Massimo Gianolli, proprietario della cantina della Valpantena «Collina dei Ciliegi», ha alzato il velo sul restauro che resterà tre anni davanti alle botti che affinano l'Amarone. Gianolli partecipa a un'adozione speciale, per finanziare gli eterni lavori della Veneranda Fabbrica meneghina e ricordare quanto vale, nel proprio lavoro, il principio di restituzione. Ma persino un gigante sulla facciata del Duomo sparisce, davanti all'immensa bellezza di un capolavoro che simboleggia gli acuti del gregoriano, anch'essi tensione verso l'infinito. E forse sarà improprio giocar di metafora, ma è curioso notare come dalle cronache dei giornali sia sparito da settimane un nome: Figliuolo. Il generale aveva promesso di ottenere un certo numero di vaccinazioni e ce l'ha fatta, ma – come il gigante sul Duomo – anche lui a un certo punto sparisce, pur coltivando in cuor suo un giusto senso di fierezza. Non fa notizia qualcosa che riesce, non interessa, come se la cronaca ormai sia avida soltanto di storie pruriginose, di trame e scandali. Parafrasando la ricorrenza laica di oggi, ci vorrebbe un «armistizio dell'informazione» per raccontare un Paese normale, con un politica che sa proporre programmi poiché, come dopo una guerra, c'è molto da ricostruire. Io credo che anche Matteo Fenoglio sia un gigante: il giovane vignaiolo di Serravalle Langhe produce uno spumante metodo classico irresistibile, poche centinaia di bottiglie con un processo tutto manuale, in una cantina minuscola sulla strada che porta al centro del paesino d'alta Langa. Sono andato a sorpresa nella sua vigna, mentre staccava le uve di pinot nero coi genitori e la zia, e con lui ho guardato gli orizzonti di una terra che si sta trasformando con importanti investimenti di imprenditori che scelgono queste altezze per arginare i cambiamenti climatici. E se il beneficio economico che ne deriverà può apparire un riscatto dalla «Malora» narrata da un altro Fenoglio (Beppe), ecco come la pensa Matteo: «Laggiù ci sono piante di rovere che i miei avi hanno rispettato per una vita. E io non le taglierò mai, perché rappresentano la biodiversità; la vite non può essere un monolite senza rapporti con la natura intorno». La chiamano "sostenibilità", ma a me questa posizione è parsa la stessa fierezza del gigante che accetta d'essere un particolare in un quadro più grande.