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Quando la colf se ne ritorna a casa

Vittorio Spinelli martedì 8 gennaio 2013
Èin crescita il fenomeno dei lavoratori stranieri che, a causa delle difficoltà economiche, decidono di lasciare l'Italia e di trasferirsi in altri Paesi o di rientrare in quello di provenienza. Tra il 2002 e il 2011 l'Istat ne ha registrati 175mila (rapporto "Migrazioni internazionali e interne"). Per le famiglie il ritorno a casa della colf apre uno scenario con impreviste difficoltà.Assumere colf o badanti straniere comporta infatti, come onere accessorio, anche l'impegno a sostenere il costo del viaggio della lavoratrice in caso di rientro nel paese di provenienza. Così prevede la legge 189 del 2002 ma, nella pratica, si tratta di un costo particolarmente oneroso per qualsiasi famiglia, anche perché inizialmente assunto «al buio». In diversi casi, la sua applicazione ha fatto emergere incertezze sia sui datori di lavoro soggetti al vincolo sia sugli effettivi destinatari del beneficio.È di questi giorni un opportuno chiarimento sul tema, offerto da Assindatcolf, l'associazione dei datori di lavoro aderenti a Confedelizia. Il datore di lavoro – spiega l'Associazione – si impegna al pagamento del viaggio di ritorno ogni qualvolta intenda assumere un lavoratore extracomunitario, sia in posizione regolare sia in caso di emersione da attività in nero. Nel primo caso (lavoratore già in regola col permesso di soggiorno) l'impegno appare nel modulo di assunzione all'Inps. Nel secondo caso è aggiunto nella domanda di nulla osta all'ingresso oppure nella domanda di emersione dalla situazione irregolare. Ed ecco la novità: in entrambi i casi è verso lo Stato che il datore di lavoro assume il suo impegno. Di conseguenza il pagamento del rimpatrio può avvenire solo nell'ipotesi di richiesta dello Stato e soltanto nei casi di rimpatrio coatto. Non si tratta quindi di un impegno preso nei confronti della colf o della badante.Pensione di ritorno. Per un'eventuale pensione a chi rimpatria, la legge sull'immigrazione (n.189 del 30 luglio 2002) dedica alcune righe: in caso di rimpatrio, il lavoratore extracomunitario conserva i diritti previdenziali e di sicurezza sociale già maturati e può goderne al compimento dei 65 anni di età, anche in deroga al minimo di 5 anni di versamenti stabiliti con la riforma Dini. Con la nuova riforma Monti, l'Inps ha corretto i requisiti: l'età richiesta sale a 66 anni e 3 mesi. Ma distingue: a) nel sistema contributivo, resta la deroga sui contributi, e quindi anche meno dell'attuale minimo di 20 anni, e a condizione che l'importo maturato superi 1 volta e mezza quello in vigore per l'assegno sociale, altrimenti l'extracomunitario rimpatriato deve attendere i 70 anni di età; b) nel sistema retributivo o misto, la deroga non si applica e si richiedono oggi 66 anni e 3 mesi e almeno 20 anni interi di contributi.Contributi di gennaio. Entro il 10 gennaio devono essere versati i contributi, in base alle tariffe dello scorso anno, per la lavoratrice occupata nel periodo dal 30 settembre al 29 dicembre 2012.