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Prevedibilità, rischi e laicità (ma come mantra anestetico)

Gianni Gennari sabato 11 luglio 2015
Giovedì in pagina quasi nulla sul viaggio papale: colpa (più o meno) del fuso orario. Sul “Corsera” (p. 1) Massimo Franco si concentra sul problema “sicurezza”: «Come proteggere un Papa imprevedibile». Difficile prevedere uno che parla spesso a braccio, ma improvvisa anche molto altro, e la cosa in vista del viaggio negli Stati Uniti preoccuperebbe gli 007 americani. Ci pensi, ma trovi che anche la troppa prevedibilità è a rischio: a Roma e altrove certi spostamenti rispettati al minuto possono essere anche appuntamento per malintenzionati. C'è altro: “l'Unità” rediviva (auguri!) a p. 7 mette insieme due riflessioni. Nella prima il costituzionalista Stefano Ceccanti – amico e stimato fin dai tempi della Fuci – chiede uno «Stop al conflitto Stato-Regioni». Roba seria, ma titolo a sorpresa: «Riforme, fermezza e laicità». Che c'entra la «laicità»? Niente, a meno che per essa non si intenda la volontà di ragionare seriamente. Allora capita che la parola «laicità» diventa un mantra per cavarsela sempre senza chiarire: in pagina suona bene, e comunque una bottarella alla religione va sempre, persino nel titolo per una firma nota come cattolica. Una forzatura. Finito? No. Lì accanto altro titolo a proposito del Comune di Roma: «Il trapianto Marino è andato bene, cacciare il medico ora sarebbe un disastro». Per Cristiana Alicata oggi «la sfida è raccontare ai parenti fuori dalla sala operatoria che il trapianto è andato bene», perché loro «ancora non lo sanno». Ci sarebbe stato un trapianto? Pare, ma la realtà è che «i parenti» ai quali di esso si dovrebbe «raccontare» non stanno «fuori dalla sala operatoria», bensì dentro giorno e notte, e vedono una città dove gli organi da trapiantare purtroppo sono tutti ancora lì. Il mantra di «laicità» accelerato del sindaco-chirurgo non basta a cambiare la realtà per chi non è in anestesia da pretesa «laicità», e tiene gli occhi aperti.