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Pretese di «Verità» o ricerca che chiama noi tutti all'unità?

Gianni Gennari sabato 7 luglio 2018
Su “La Verità” (30/6, p. 12) – richiamo sovietico e/o al Solo che ha detto “Io sono la Verità” – perentorio: «Non si può dare la comunione a un protestante, e il sacerdozio sarà sempre appannaggio del solo universo maschile». Brutto quell'appannaggio, ma granitico! Un «vescovo tedesco» si contrapporrebbe esplicito all'intero «episcopato tedesco»: uno contro tutti! In questione è anche la possibilità di approssimarsi non a un sogno tutto nostro, ma soprattutto all'invocazione «Ut unum sint» che quel Solo ha sospirato davanti ai suoi nella notte in cui «li amò sino alla fine». Che dire? Forse l'invocazione dovrebbe spingere a un lavorio accurato e più “accorato” dei discepoli sulla via di recupero di un'unità che resta nel programma non solo del Signore, ma anche della sua Chiesa. Però a questo proposito chiedo – e, sottolineo, chiedo – se ci si debba obbligare alla formula della “transustanziazione”, storicamente legata alla metafisica aristotelica o comprendere anche modi diversi di affermare la Presenza che è reale. Ripenso a Paolo VI che nella Mysterium Fidei (1975) parlò anche di «trans/significazione, trans/finalizzazione e trans/elementazione» per dire la stessa cosa. Anche sant'Ambrogio ha parlato di «conversione eucaristica». E penso a papa Francesco in visita alla comunità luterana di Roma, quando pose la domanda proprio sulla condivisione eucaristica. La fede non è nella formula, ma nel mistero che essa esprime. Del resto la visione aristotelica – sostanza e accidenti – entra nel linguaggio dopo secoli di Eucarestia condivisa, espressa via via con termini diversi per una realtà di “confessione comune”. L'identificazione di una verità di fede con una formula determinata è ancora oggi frutto di divisioni volute da noi, non certo da Quello che proprio “in quella notte” ha inventato l'Eucarestia!