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Pregare con il Papa contro l'indifferenza

Salvatore Mazza sabato 6 luglio 2019
È l'8 luglio del 2013. Bergoglio, quattro mesi dopo la sua elezione a Papa, esce per la prima volta dal Vaticano. La destinazione è Lampedusa, dove ha «sentito che dovevo venire a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta». Era stata una decisione quasi improvvisa, la sua: pochi giorni prima un'altra carretta del mare, l'ennesima, era affondata trascinando sul fondo il suo carico umano. «Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? – avrebbe detto nella omelia della Messa celebrata quel giorno – Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c'entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: "Dov'è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?". Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna... In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell'altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!... Siamo una società che ha dimenticato l'esperienza del piangere, del "patire con"... Domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c'è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell'anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: "Adamo dove sei?", "Dov'è il sangue di tuo fratello?"».
Lunedì, nel sesto anniversario di quella visita, Francesco celebrerà una Messa a San Pietro per «quanti hanno perso la vita per sfuggire alla guerra e alla miseria», presenti solo circa 250 persone tra rifugiati e volontari. Solo loro, perché il Papa «desidera che il momento sia il più possibile raccolto». In questi sei anni molte cose sono certo cambiate: oggi sappiamo che i migranti sono il vero problema dell'Italia, e se non fosse per loro non ci sarebbero italiani poveri né disoccupati. Sappiamo che in realtà non fuggono da guerra e fame, ma sfidano la morte per avere il wi-fi gratis, e per delinquere, e sappiamo anche che i volontari che li soccorrono quando fanno finta di affogare sono i veri criminali. Sappiamo oggi che il Papa, che da sei anni continua a invitarci all'accoglienza, "fa politica" quando invece "dovrebbe occuparsi della salvezza delle anime", e allora è giusto fischiarlo in piazza, perché ci hanno spiegato che la solidarietà è sbagliata, è cattiva, e per questo l'hanno fatta diventare un reato in nome della nostra sicurezza; e dunque chi predica la solidarietà, secondo il Vangelo, è un istigatore al male. E se si può fischiare il Papa e la Chiesa, a maggior ragione si può rovesciare ogni sorta di insulti su chi la pensa altrimenti, su chi prova a tendere la mano, su tutte le Carola del mondo.
In sei anni davvero molte cose sono cambiate. Non solo siamo indifferenti, ma abbiamo imparato persino a odiare, avvelenati dalla paura alimentata da chi ha pensato, speculando sulle menzogne, di potere cavalcare questa tigre impunemente, incurante del fatto che chiunque ci abbia provato presto o tardi è stato disarcionato. Per questo, lunedì, preghiamo con il Papa per «quanti hanno perso la vita per sfuggire alla guerra e alla miseria» e per i volontari. Ma preghiamo anche per chi semina l'odio, perché capisca quanto tragiche possano essere le conseguenze. E preghiamo senza curarci di chi sostiene che siamo in minoranza: pochi giorni prima di finire sulla croce Gesù fu esposto al balcone con Barabba, e la folla gli preferì il ladro. Però sappiamo come è andata poi a finire.