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Posta centrale a Niamey: lettere (e pacchi) come migranti

Mauro Armanino martedì 10 ottobre 2017
È stata rimessa a nuovo da qualche tempo. La Posta Centrale di Niamey si trova dietro il cortile dell'Assemblea Nazionale. Si passa la sconnessa via delle Banche, il distributore Total, alcuni ristoranti che arrostiscono carne a ogni ora e la piazza della Concertazione. L'edificio ridipinto dell'Assemblea Nazionale è circondato da un muro difeso da blocchi di cemento anti-jihadisti. La Posta Centrale è costituita da un hotel, dagli uffici postali e amministrativi e da un ampio cortile adibito a parcheggio. L'entrata è quasi monumentale e la serie di uffici numerati senza comune misura. Dietro gli sportelli non c'è nessuno e l'unica coda che si fa è quella per prendere il tè giusto all'entrata del corridoio che porta alla sezione dei pacchi postali.
Entrarvi è un privilegio unico. Centinaia o forse migliaia di pacchi accatastati tra strati di polvere che hanno colorato d'infinito le buste, le scatole di cartone e altri oggetti ormai difficilmente identificabili. Sono pacchi migranti ossia migranti come pacchi postali. Messi in deposito, custoditi e in attesa che qualcuno passi a ritirarli. La polvere è la stessa del deserto che si infiltra e tutto trasforma in cenere. Pacchi torturati dal caldo dall'interminabile attesa di andare da qualche parte. A nulla valgono le ingiunzioni a un trattamento più umano della merce. Stanno lì per mesi, anni e talvolta per sempre. Nel deposito gli scaffali sono a piani per contenere quelli che hanno viaggiato da ogni parte senza giungere a destinazione.
Il cestino dell'ufficio è pieno di scarti e a nessuno viene in mente di svuotarlo. Sul tavolo che separa la parte nascosta dell'ufficio postale sono adagiate lettere di ogni tipo e forma. Posta ordinaria, raccomandata, aerea e soprattutto terrena, proletaria. Così sono pure i migranti, con il timbro sbiadito dal tempo e la scritta veloce "respinto al mittente". Una parte della posta è messa al macero perché ritenuta inservibile nell'apposita sezione custodita dai militari. Un'altra zona non è raggiungibile che da pochi esperti del tracciato: sono gli "umanitari" che tentano a ogni costo di far partire i migranti verso casa. Così imparano ad avventurarsi senza prima aver studiato bene il tracciato. Chi accetta viene trasformato in posta aerea, scortata a domicilio.
L'ultima zona della Posta è quella delle lettere senza indirizzo. Sono i senza documenti classificati "clandestini" o almeno "irregolari", e devono provare la loro innocenza. Sono messi in luoghi sicuri e fuori della portata dei mezzi di comunicazione e dei giornalisti. Lettere come migranti parcheggiati in attesa di essere valutati, controllati, processati e infine detenuti. Solo alcuni tra questi saranno messi nel circuito o corridoio di salvezza umanitaria. Sono i più meritevoli di un futuro senza qualità nel mondo dove le poste si sono trasformate in banche e si viaggia solo in cont(r)o corrente. Non mancano, come sempre, i volontari che fanno di tutto per ridare speranza a telegrammi, fotocopie, buste col timbro "indirizzo insufficiente".
Quanto ai pacchi regalo sono prima analizzati e poi interrogati. Segue, a opera della polizia, l'inventario del contenuto e delle motivazioni del pacco in questione. Un vecchio registro dalle pagine seccate dal vento conserva il ricordo dei nomi di quanti non sono mai arrivati. Tra una riga e l'altra c'è lo spazio per una croce o per un punto di domanda. Il registro rimane aperto sulla pagina dove sta scritto "sconosciuto".
Niamey, ottobre 2017