Rubriche

Per diventare "mamma" non basta una sentenza

Pier Giorgio Liverani domenica 19 marzo 2017
Quando a un redattore nasce un bambino, il suo giornale pubblica poche righe di "notizia" con gli auguri. Questa volta, invece, la Repubblica ha riservato all'avvenimento (martedì 14) un titolo a quattro colonne, che esprime la gioia della "madre" perché «ora anche la legge mi chiamerà mamma». La vera notizia di Repubblica, però, è che non una ma due sono le madri legali e una è tale – la redattrice – solo per il nome. Buon per lei, ora orgogliosa di potersi riconoscersi "mamma" anche se solo adottiva, perché la bambina è più figlia, alla lettera, dell'altra mamma e un po' anche del tribunale. Oltre che madri ciascuna delle due signore è "moglie" dell'altra, ma è la "compagna", la madre di fatto mentre lei (la redattrice di Repubblica) ci ha messo solo il desiderio, l'affetto e il cognome: il resto l'ha fatto il tribunale. Il quale, però, ha precisato che «non si tratta di un'adozione piena né la bimba diventerà parente dei parenti» della madre "giudiziaria".
Un evento come questo così ampiamente pubblicizzato e diverso dai matrimoni e dalle maternità normali esige, nel rispetto delle scelte personali, di essere discusso per la sua estraneità alla cultura millenaria e cristiana della società, dell'etica familiare, della Costituzione. Proprio per questo ci sia lecito fare alla bambina tutti gli auguri possibili, sottolineando, però, la sua condizione di inconsapevole orfana di padre, contraria ai prevalenti diritti dei bambini previsti dalle leggi vigenti ma dimenticate dai tribunali creativi. Al giudice che ha sancito questa situazione ricordiamo la Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia, approvata dall'Onu il 20 novembre 1989 e in Italia divenuta legge il 27 maggio 1991. La Convenzione afferma che «i maggiori interessi del bambino/a devono costituire oggetto di primaria considerazione», cioè una decisa prevalenza dei diritti del bambino (qui di avere un padre) prima di quelli inesistenti dei genitori: per loro solo amore e doveri. E infine il dovere, prescritto dalla Convenzione, di assicurare «una adeguata protezione legale prima e dopo la nascita».

DANNI COLLATERALI
Davvero ci mancava e finalmente è arrivato. Lo ha lanciato Libero in prima pagina (domenica 12): è «Il diritto di sparare al ladro». Diritto civile anche questo, per il quale «la questione è molto semplice e va anche ridotta all'essenziale: se entri dentro casa mia o nel mio negozio... io mi difendo e se possiedo un'arma ti sparo addosso», magari alla schiena, quando stai scappando senza refurtiva: così «faccio risparmiare tempo alla giustizia... Dicono: però è morta una persona. Già, «i danni collaterali di un mestiere» contro il diritto di uccidere.