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Penso alla guerra e capisco che il passato è ancora tutto da venire

Giovanni Lindo Ferretti domenica 22 gennaio 2012
Per la prima volta dopo anni mi ritrovo solo in casa, nessun impegno familiare e la possibilità di dedicarmi in totale libertà al mio lavoro: una cooperativa agricola appena costituita, un teatro che si sta strutturando, un piccolo tour di concerti che va ad iniziare; la testa macina elenchi disponendo priorità, necessità, possibili opzioni ma il corpo non collabora ed impone le proprie condizioni. Prima un'infezione dentale poi l'influenza mi immobilizzano tra letto, poltrona, stufa; di là dai vetri cieli incantati, non una nuvola dall'alba al tramonto e di notte miriadi di stelle a punteggiare il firmamento. Limite dell'operare è la salute, la malattia fa i conti con l'essere: bisogna rispettarla, gratificarla contrattando il prezzo del riscatto per quel che si può, finché si può. Superata la fase acuta, l'infiammazione, la convalescenza è tempo regalato alla lettura: il racconto, il romanzo, la capacità che alcuni esseri hanno di materializzare mondi ed esistenze disponendo di un foglio ed una penna; il potere della scrittura. Qualcosa che non c'è si manifesta, prende vita e comincia a crescere intersecando altre esistenze, contribuendo alla loro trasformazione. Come ogni atto creativo contiene un frammento infinitesimale dell'Opera prima: Genesi. C'è un libro che ho comprato qualche anno fa, l'ho messo da parte e lo tengo d'occhio: è ora di leggerlo. L'autore è Pietrangelo Buttafuoco, la sua capacità di scrittura, la bellezza della sua lingua non temono confronto in Patria e all'estero. I suoi interessi, le conoscenze, l'immaginario, lo rendono prezioso in un panorama di omologazione, letteraria ed umana, sconfortante. Lo rispetto profondamente, lo leggo con sano timore, lo depenno volentieri; concordando su molto della diagnosi perseguiamo terapie opposte. Credo siamo nemici sulla terra ma mi invoglia ad essere migliore e ce ne vorrebbero. L'ultima del diavolo, suo secondo romanzo, l'ho letto appena uscito. La collocazione temporale, i protagonisti, il racconto, non mi ponevano alcun problema. Problema significa: addentrarsi in un spazio pericoloso, una collocazione viscerale, una emotività dolorosa al tocco che induce a reazioni scomposte. Le uova del drago, il romanzo in questione ne è esemplificazione massima: l'eroe di cui si narrano le gesta è il miglior soldato nazista, è donna, è cattolica. L'azione si svolge in Sicilia dal 1943 al 1947. Il racconto è affascinante, iniziato non posso smettere di leggerlo fino all'ultima riga di Backstage. È anche una miniera di informazioni e diversi tasselli di una ricostruzione storica doverosa, lontana anni luce dalla agiografia nazional costituzionale, trovano il loro posto. Genealogie nascoste dall'enfasi modernista e rivoluzionaria rivelano dinastie che attraversano secoli, regimi e ideologie. Si verificano a Berlino, passando per Roma, le future difficoltà di Gerusalemme e di un bel pezzo di mondo intorno. Un gran bel libro, necessario, corposa scheggia di tragico che non cela il grottesco e non induce ad alcuna gratuita speranza: il passato è ancora tutto da venire. Il malessere si è impadronito di me e devo attraversarlo: 1943-1947 è molte cose, direi troppe, se evocate devo contenerle e ricollocarle. Non potendo far conto sull'azione solo la parola ha valore e senso; cerco tra i libri un aiuto e lo trovo. Chaim Potok, un autore molto amato da molto tempo, scelgo il libro più piccolo tra i corposi volumi dei suoi romanzi: Il maestro della guerra, si legge d'un fiato anche se nelle ultime pagine si è costretti a procedere con estrema lentezza. Già la citazione da T.S. Eliot che lo apre mi riconcilia «… andate via, disse l'uccello: gli umani sopportano male la realtà».