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Pensioni statali, due scorciatoie

Vittorio Spinelli martedì 15 giugno 2010
L'accelerazione sull'aumento dell'età pensionabile delle donne (imposta dalla Commissione europea sulla scorta della sentenza C.46/07 della Corte di giustizia) rimescola le regole della previdenza in atto nel settore delle amministrazioni dello Stato. Il diktat europeo sulle pensioni delle donne statali pesa di là dell'impatto repentino sul requisito anagrafico in corso, da 61 anni a 65 anni già a partire dal 2012 anziché dal 2018.
L'assoluta parità uomo-donna, richiesta dall'Unione nei percorsi di lavoro e previdenziali, avrebbe l'effetto di aumentare, a beneficio delle statali, l'importo delle pensioni, con un 2% per ogni anno di contributi in più qualora la pensione sia calcolata col sistema retributivo. Aumento variabile invece se la pensione è soggetta al calcolo contributivo o misto. Tuttavia il blocco dei contratti e delle retribuzioni del pubblico impiego ridimensionano i migliori calcoli. Gli aumenti sono invece concreti sulla buonuscita, oggi calcolata sull'80% della retribuzione mensile, moltiplicato per gli anni di servizio.
La freddezza delle regole non tiene conto invece dello sconvolgimento che l'applicazione drastica dei 65 anni produce sulle condizioni familiari delle donne statali, sulle esigenze in atto e sulle prospettive personali per il dopo pensionamento. Tuttavia, per le statali che si trovano nella necessità di lasciare il servizio prima possibile, già oggi la stessa previdenza offre due scappatoie.
Scorciatoia 1. Poiché i 65 anni diventano obbligatori solo per le pensioni di vecchiaia, la prima scorciatoia è quella di andare in pensione con le regole delle pensioni di anzianità: 35 anni di contributi e un'età minima di 60 anni in modo da formare "quota 95" (oppure 57 anni se la pensione è contributiva). Ma non tutte le statali sono in possesso di almeno 35 anni di versamenti, in grado di dribblare l'allungamento dell'età. In ogni caso, con o senza i 35 anni di contributi, donne e uomini dipendenti dello Stato possono ricorrere al beneficio della legge 322/1958, una legge poco pubblicizzata per l'occasione.
Scorciatoia 2. La lavoratrice assicurata all'Inpdap che si dimette prima di aver maturato entrambi i requisiti di età (61-65 anni) e di contributi, fermo restando il diritto alla buonuscita, non può ricevere la pensione pubblica. Interviene la legge 322 che impone di trasferire tutti i contributi dall'Inpdap all'Inps. Nell'Inps è ancora valido però il requisito anagrafico dei 60 anni, e questo consente all'interessata di ottenere in anticipo la pensione di vecchiaia.
Riforma buonuscita. A complicare il nuovo quadro normativo, è intervenuta la manovra anti-crisi che peggiora la liquidazione della buonuscita, a rate se è oltre i 90 mila euro. Sarà invece valido il pagamento unico e totale solo per chi cesserà il servizio entro il prossimo 30 novembre. Quanto basta per considerare che l'incrocio delle nuove regole inducono a non trascurare le scorciatoie della legge.