Rubriche

Pensieri su Dio, e il solito dissenso stavolta si fa speranza di consenso

Gianni Gennari sabato 13 aprile 2019
Riecco Corrado Augias da tempo qui assente, dopo anni di parecchi "morsi", più di 100 e quasi sempre in dissenso totale. Stavolta no. Su "L'Espresso" (7/4, p. 7) la sua rubrica aveva questo titolo, grande e in rosso: «Dio».
Incipit: «Ardua questione. Quale Dio tra i tanti che speranze, bisogni, timori degli uomini… hanno contribuito a far nascere in ogni cultura?» Segue l'analisi critica con un po' di folklore: «Un gran vecchio dalla barba bianca, fluenti capelli», quello di «non si muove foglia che (Lui) non voglia, onnipotente… onnipresente, eterno». Ma… dov'era ai tempi di Auschwitz? E poi Feuerbach, e Spinoza e "Dio come natura", e Francesco d'Assisi con il suo «Inno d'amore a Dio contemplato però attraverso un umano orizzonte». Con una constatazione: «Viviamo tempi in cui la stessa domanda se davvero esista s'è un po' appannata, a prescindere dal fatto che nessuno ha mai saputo veramente rispondervi». Insomma, «il vecchio concetto di Dio per ora galleggia in questa dimensione sfumata».
Che dire? Solo un no? Dipende… Infatti, a sorpresa segue conclusione che ancora incoraggia: «Si può sperare che, scansati dogmi e riti delle religioni, si consolidi una spiritualità matura e pacifica dove si riesca a vedere Dio attraverso il nostro prossimo, l'ambiente che ci ospita, il comune destino». E sì che si può sperare, caro Augias! Nella sostanza della "lezione" di Gesù Cristo Dio si vede, si crede, si invoca proprio «attraverso il nostro prossimo», e questo è valore assoluto. Nella parola definitiva di Gesù (Mt. 25, 31-46) – ove Papa Francesco indica «il nucleo in cui tutto si riassume» – salvezza in Dio anche non conosciuto esplicitamente è "riconoscerlo" con i fatti nel "nostro prossimo" affamato, assetato, forestiero, prigioniero! Ma allora questo Dio diverso da tutti, e di cui siamo "immagine", non pare "appannato". Anzi.