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Partiti veri, cioè di sana e robusta Costituzione

Stefano De Martis domenica 14 febbraio 2021
La formazione del governo Draghi ha provocato profondi sommovimenti all'interno del sistema dei partiti. Soltanto il tempo consentirà di valutarne appieno le conseguenze, ma intanto l'impatto è stato fortissimo. È stato lo stesso sistema dei partiti in quanto tale a essere messo in discussione nella sua incapacità di esprimere una maggioranza parlamentare adeguata a fronteggiare problemi e impegni cruciali per la vita del Paese. Uno stallo che ha "costretto" il Presidente della Repubblica ad assumere un'iniziativa eccezionale e a fare appello a tutte le forze politiche presenti in Parlamento. Che hanno risposto alla chiamata del Quirinale nella quasi totalità, pur tra contorsioni e colpi di scena e con livelli di convinzione assai differenziati. Ancora una volta, insomma, Sergio Mattarella è riuscito a sbloccare una situazione che sembrava non avere altra via d'uscita che le elezioni anticipate in piena pandemia. Ma il fatto di dover ricorrere ripetutamente al "correttivo presidenziale" rivela una debolezza di fondo che riguarda più il sistema dei partiti che il sistema istituzionale strettamente inteso. Quest'ultimo alla fine è stato in grado di funzionare anche in condizioni estreme, il che ovviamente non esclude l'opportunità e finanche la necessità di alcuni interventi di riforma. È il sistema dei partiti che invece si è dimostrato estremamente fragile, con formazioni sempre meno radicate nel tessuto sociale, sempre più spesso ridotte a macchine di consenso al servizio di un leader e come tali legate alla volatilità degli umori degli elettori che essi stessi in larga misura alimentano e condizionano. Questa fragilità si trasmette anche alle istituzioni il cui funzionamento non è una variabile indipendente rispetto al sistema dei partiti. Il caso di scuola è quello della Germania. Non è prevista l'elezione diretta del Cancelliere, il sistema elettorale è proporzionale, eppure il Paese – per giunta con un ordinamento federale – vanta una stabilità politica invidiabile. Sicuramente incide il meccanismo della "sfiducia costruttiva" che non a caso molti propongono di introdurre anche in Italia. Ma la risorsa decisiva è stata, almeno finora, proprio la solidità del sistema dei partiti. Forze politiche radicate, organizzate e non "personali" che tuttavia hanno saputo esprimere leadership democratiche di grande rilievo. In Italia, il problema della breve durata degli esecutivi si è posto sin dagli inizi della vita della Repubblica, ma in assenza di norme costituzionali ad hoc è stato proprio il sistema dei partiti a garantire una sostanziale continuità politica pur nell'avvicendarsi dei governi. Ma quei partiti, nel bene e nel male, non ci sono più dagli anni Novanta e da allora è iniziata una transizione ancora senza sbocchi convincenti. L'ambiziosa via delle primarie intrapresa dal Pd si è interrotta, i tentativi tecnologico-plebiscitari del M5s hanno dimostrato anche in questi giorni i loro limiti strutturali, altrove è stato solo un fiorire di partiti personali, cuciti su misura dei loro leader. Ma la democrazia ha bisogno dei partiti, e di partiti veri. Bisognerebbe riprendere in mano l'art. 49 della Costituzione, laddove si legge che «tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale». Partiti come associazioni di cittadini, innanzitutto, e che operano con «metodo democratico»: non solo nell'agone politico, ma anche nei meccanismi di partecipazione interna, secondo un'interpretazione che si è andata sempre più affermando e che ancora non ha dato luogo a esiti normativi stringenti. La fase che si apre con il governo Draghi, proprio per il suo non identificarsi «con alcuna formula politica», potrebbe rappresentare un'occasione straordinaria per la rigenerazione dei partiti nel senso indicato dalla Costituzione. Ma bisognerebbe avere la volontà e il coraggio di coglierla.