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Papà cammina con me, non sono sola

Marina Corradi giovedì 6 ottobre 2016
Milano – Ogni volta che arrivo all'incrocio fra via Luigi Nono e il piazzale del Cimitero Monumentale mi pare di sentire la sua voce che mi ripete: «Stai a destra qui! Prendi la curva larga!».Come lui mi diceva sempre a quell'incrocio. Non so come, ma a me sembra proprio, in certi momenti, di averlo accanto, mio padre. Assurdo, ma a volte quando guido mi pare di averlo seduto alla mia destra, e ancora non del tutto convinto delle mie capacità. «Attenta a quello lì!», intima, indicando una Bmw troppo disinvolta.E quando tra me medito un progetto un po'azzardato, me lo vedo che mi sgrana addosso i suoi occhi grigioverdi e mi domanda, brusco, col suo largo accento emiliano: «Non sarai mica matta?»Sorrido, perché sono perfettamente sveglia e lucida, eppure questa vicinanza è così credibile. Uno psicologo mi direbbe naturalmente che ho tanto interiorizzato la figura di mio padre, che la so far rivivere in me. Può darsi, ma, fa dire Shakespeare a Amleto, «ci sono più cose in cielo e in terra, Orazio, di quante ne sogni la tua filosofia»; e io mi affeziono, a questa cara ombra. La avverto soltanto quando sono sola; quando lavoro, e mi sento mio padre dietro alla scrivania, pensoso: «Toglila, quella frase lì». Quando, sull'autostrada del Sole, passo per Parma, la sua città, mi pare di averlo con me, che guarda muto fuori dal finestrino quella campagna piatta di terra nera e feconda, e i filari di pioppi oscillanti al vento; e le cascine basse, larghe, piantate saldamente nella terra, come quella che sognava per i suoi ultimi anni.Il fatto è, mi dico, che te ne sei andato all'improvviso, e non abbiamo avuto tempo di dirci tante cose. O forse, pudico come eri negli affetti, non me le avresti comunque dette. Lo so però, che speravi che incontrassi il ragazzo giusto, e mi sposassi, e avessi dei figli; e il mio tardare in queste scelte ti rattristava. Vorrei dirti: sai, un anno dopo la tua morte mi sono sposata, due anni dopo è nato il primo figlio. Ma forse lo sai bene, e non sei estraneo a questa accelerazione improvvisa della mia vita, appena dopo la tua morte. Come se, lassù, qualcuno avesse messo una buona parola. A casa nostra, in ingresso, sopra la scrivania, sta appesa in cornice una larga, ingiallita, logora mappa della Russia. Quella che avevi in guerra, alpino, sul Don, quella che, mi dicevi, ti è servita a orientarti, e a ritornare a casa. La ho voluta lì, tutti i giorni sotto ai nostri occhi.È quando però esco sola col cane e passeggio sotto ai platani di corso Sempione, vicino alla tua vecchia casa, che la tua vicinanza si fa quasi fisica. È l'autunno, mi dico, e le foglie gialle che mi inseguono col loro scricchiolio; non può essere vero. (Ma come sembrano passi, questi fruscii secchi che mi corrono accanto).