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Paolo VI. Una sete inestinguibile di giustizia, un coraggio prodigioso

Renato Balduzzi giovedì 11 ottobre 2018
Finalmente. Per molti di noi, cresciuti nelle organizzazioni intellettuali dell'Azione cattolica (Fuci e Movimento laureati, oggi Meic), Paolo VI è stato il papa della giovinezza, l'amico e il maestro di molti nostri maestri e dei nostri amici. Festeggiarlo domenica prossima come "san" Paolo VI non è allora soltanto un'occasione di gioia (come ogni volta che la Chiesa riconosce una santità di vita), ma un conforto e uno stimolo: la cultura e lo studio possono diventare scuola di santità, come lo sono stati per papa Montini.
L'avvenimento di domenica è dunque un motivo in più di gratitudine e di affetto per papa Francesco, che ha riconosciuto in Giovanni Battista Montini «il mio maestro».
Nell'ottica di questa rubrica, che cosa si può dire sull'apporto di Paolo VI ai temi della giustizia? Paolo VI, papa del dialogo e dell'apertura, ha fatto dell'accorato appello alla giustizia (giustizia sociale, giustizia nelle relazioni di lavoro, giustizia nei rapporti tra le Nazioni e gli Stati) una delle cifre essenziali del pontificato e di tutta la sua esperienza di vita. Tra i tanti esempi, la Lettera apostolica Octogesima adveniens del 1971 (non a caso indirizzata al cardinal Roy, in quanto presidente della Commissione Giustizia e Pace), la cui eco fu fortissima tra noi giovani di allora, e dove i termini giustizia e ingiustizia ricorrono pressoché a ogni pagina. Si veda in particolare il n. 43, che, riprendendo e approfondendo spunti contenuti nella Populorum progressio, detta un'agenda per lo sviluppo dei popoli ancora oggi, dopo quasi mezzo secolo, largamente inattuata e attuale. Una preoccupazione per la giustizia che emerge anche in uno dei più toccanti momenti del pontificato, la lettera agli «uomini delle Brigate Rosse», nella quale, tra l'altro, ricordava che nessuno poteva accusare Aldo Moro di «mancato servizio alla giustizia».
Più in generale, che cosa evidenziare oggi di san Paolo VI, oltre, come ha fatto opportunamente Fulvio De Giorgi ("Paolo VI. Il papa del Moderno", Morcelliana, 2.a ed., 2018), al suo «ottimismo galleggiante sopra le onde»?
Anni fa, presentando il volume "Paolo VI segreto, scritto da Jean Guitton, David Maria Turoldo manifestava «nostalgia e forse anche rimpianto», nel senso di «desiderio di ripensare i problemi nella stessa luce - o tenebra - in cui li considerava il papa: nella loro globalità e universalità (e complessità, e delicatezza e, a volte, nella loro inestricabilità), con equilibri che hanno del prodigioso». Aggiungendo: «E un coraggio altrettanto prodigioso; e magnanimità, e pazienza: inesauribile pazienza, tanta da non condannare nessuno». Può essere un suggerimento da meditare domenica prossima, in piazza san Pietro.