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PADRI E FIGLI

Gianfranco Ravasi venerdì 22 ottobre 2004
Il senso di nullità che spesso mi assale ha le sue complesse origini nel tuo influsso. Avrei avuto bisogno di qualche incoraggiamento, di un po" di gentilezza, che mi aprisse un poco il cammino. Aveva ragione Michael Levine quando affermava - a prima vista in modo paradossale - che «avere dei figli ti rende un padre non più che possedere un piano ti fa diventare pianista». Generare è certamente un atto decisivo e costituisce una persona come genitore, ma essere padre o madre è una vera e propria vocazione, è un"arte e un esercizio che richiede preparazione e formazione. Altrimenti accade quello che Kafka nella sua drammatica Lettera al padre (1919) rimproverava con asprezza al suo genitore con le parole sopra citate. Costui era un agiato commerciante ebreo di Praga e la sua gelida e distaccata figura aveva alla fine allontanato da sé il figlio, spesso umiliato e mai sostenuto da quel rigore e dal quel giudizio sempre incombente.Anche s. Paolo ammoniva i padri a «non irritare i figli, affinché non abbiano a scoraggiarsi» (Colossesi 3, 21), a «non inasprirli ma ad allevarli nell"educazione e nella disciplina del Signore» (Efesini 6, 4). Ecco, questo secondo consiglio paolino fa capire, però, che non basta la generosità e la comprensione per una vera paternità. Ai nostri giorni, infatti, è più facile che predomini l"eccesso di tolleranza, ignorando che l"educazione autentica comprende anche la correzione, l"esempio, la guida. E allora ci sembra utile concludere con le parole di un sapiente dell"antica Cina, Confucio, che dichiarava: «Un padre che non insegna al figlio i suoi doveri è tanto colpevole quanto il figlio che non li segue».