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Osterie senz'oste e street food, idee creative anti-crisi

Paolo Massobrio venerdì 11 luglio 2014
Le vacanze più belle della mia vita rimangono quelle in campagna, appena finita la scuola: trasmettevano il senso di immergersi in un altro mondo, quello della civiltà contadina. C'era ancora il forno turnario, al venerdì, dove le donne cuocevano il pane per tutta la settimana, c'era un lavoro indefesso nei campi di grano. Poi sono sparite le vacanze in campagna, perché era arrivato il benessere. Ma ora, che i dati dicono che siamo tornati ai livelli di consumo di 10 anni fa, qualche casa in campagna viene riaperta e un ristoratore del Monferrato, poche sere fa, mi diceva che era sorpreso di questa buona partenza di luglio. Leggo che lo chef Carlo Cracco ha chiuso il 2013 con ricavi in milioni di euro, e mi viene in mente quando al mio paese si ammirava un campione di ciclismo locale, che tornava a casa ogni domenica sera con il gruzzolo dei denari delle vincite. E i ragazzini del paese volevano fare come lui, come se quei traguardi e quei soldi fossero stati una meta facile. Cracco fa sognare la medesima storia, oggi. Ma è fuorviante, come lo può essere un sogno senza risveglio. E c'è una strana dicotomia nel nostro Paese quando si parla di ristorazione: da una parte sembra che esistano solo gli chef stellati, dall'altra prende sempre più piede lo street food. E a Milano ha fatto capolino una ape-car (Verdi's), nei pressi di via Tortona, che ha impostato la sua attività sui prodotti di stagione e sul take away. Sta alla base di un nuovo format di ristorazione, mentre l'osteria senza l'oste di Santo Stefano di Valdobbiadene è addirittura diventata un libro. Ci sono stato: una cascina che dà sulla vallata del prosecco, dove ti servi dal frigorifero di salumi e vino frizzante in bottiglione da 2 litri: poi paghi il prezzo suggerito a una macchinetta. Funziona, anche se è spartano. Ma funziona anche lo street food, mentre i modelli classici della nostra offerta ristorativa non riescono a mettersi in discussione. E annaspano. In Borgogna ho visto un modello di ristorante senza l'oste dove ti servi di zuppe, di insalate, di caci e poi ad un banco prendi la carne che desideri, da cuocere su una griglia al centro del locale. Non mancano il vino e la baguette. In Italia, invece, permangono le resistenze dettate da un modello di consumo che ancora divide il menu in antipasti, primi, secondi, dolci. Ma non c'è il portafoglio, e soprattutto non c'è più quella rincorsa all'abbondanza. Chissà che nuovi modelli di cucina, più economici e meno formali, non riescano a far risaltare il valore del cibo di stagione, ma anche di un luogo bello dove stare insieme. Ci sono riusciti in quella cascina decadente del Veneto, lo fanno in Borgogna; mentre da noi si continua a sognare su Carlo Cracco. Mah...