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Nuovo anno giudiziario. Tra corruzione percepita e corruzione reale

Renato Balduzzi giovedì 1 febbraio 2018
Rispetto agli anni scorsi, le cerimonie di inaugurazione dell'anno giudiziario 2018 sembrano avere lasciato un po' in secondo piano, stando almeno all'eco mediatica, la denuncia della corruzione e della sua pesante incidenza sulla nostra convivenza civile, sia sotto il profilo etico-culturale, sia sotto quello socioeconomico (a partire dal cosiddetto "rischio Paese"). Importanti alcune prese di posizione, come quella del procuratore di Palermo Franco Lo Voi, che ha sottolineato come «la corruzione si diffonda a tutti i livelli, senza che venga avvertita come una delle forme di inquinamento più gravi della nostra società», o quella del procuratore generale di Roma, Giovanni Salvi, che ha richiamato attenzione sulla «pervasività di un sistema di partecipazione alle gare pubbliche che ne prevede la sistematica turbativa, attraverso accordi tra grandi imprese». Ad esse aggiungerei un passaggio della relazione del Primo presidente della Corte di Cassazione, Giovanni Mammone, in cui è stata richiamata la sentenza del giudice di legittimità n. 8662 del 2017 (in tema di danno ambientale e di responsabilità verso l'ente di appartenenza dei funzionari pubblici colpevoli di condotta corruttiva) che ha mostrato di cogliere pienamente le molteplici e negative valenze del fenomeno corruttivo, affermando che non si dà doppia liquidazione di un unico danno quando concorrono il danno non patrimoniale che costituisce lesione dell'interesse alla legalità dell'attività amministrativa e il danno, pure non patrimoniale, all'immagine e alla credibilità dell'ente; nonché alcuni dati forniti nella relazione del Procuratore generale presso la Corte stessa, Riccardo Fuzio. I pur grandi sforzi per il miglioramento dell'organizzazione e del funzionamento del sistema giurisdizionale e processuale, tesi a portare a livelli accettabili la velocità della giustizia (cioè una delle principali debolezze del nostro sistema) saranno insufficienti a rafforzare la reputazione e la credibilità del sistema giudiziario se non si lavorerà congiuntamente e duramente sul tema della corruzione. Essa è largamente responsabile della posizione ancora umiliante che ci viene attribuita in molte ricerche e classifiche internazionali, incluse quelle relative al già citato "rischio Paese". È vero che, negli ultimi tre anni, sono state migliorate molte posizioni, ma abbiamo ancora molta strada da fare. La consapevolezza dei livelli preoccupanti della corruzione reale è uno degli elementi che può concorrere a farla diminuire. Se è vero che sarebbe autolesionistico sopravalutare il fenomeno, è ancora più vero che sarebbe un grave errore sottovalutarlo: tra corruzione percepita e corruzione reale occorre, insomma, che le distanze siano minime.