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Noi, con 1,5 cellulari a testa ma analfabeti digitali

Gigio Rancilio venerdì 15 maggio 2020

L’abbiamo detto o sentito dire per settimane. Perché ci credevamo davvero. E ci sembrava impossibile che non fosse così. Oggi, che cominciamo a vedere una luce in fondo al tunnel, non ne sembriamo più così convinti. Ci chiediamo: davvero niente sarà più come prima?Anche limitandoci ad analizzare le nostre vite digitali – tema di questa rubrica – viene da domandarsi: davvero sapremo non solo fare tesoro delle nostre esperienze tecnologiche di questi mesi ma anche dare una svolta significativa e duratura al nostro modo di usare il digitale?La questione tocca numerosi aspetti. A partire da due evidenti problemi. Il primo è tecnico: molte zone d’Italia hanno connessioni digitali di scarso o scarsissimo livello, e alcune famiglie hanno pochi o pochissimi mezzi tecnologici a disposizione. Il secondo è culturale e politico: benché in Italia siano attivi 80 milioni di cellulari (cioè più di 1,5 a testa - secondo l’ultimo rapporto di We Are Social), abbiamo uno dei più bassi livelli di alfabetizzazione digitale dell’Occidente.Basta guardare i grandi sforzi fatti in questo periodo da una parte del mondo educativo per accorgerci di quanti insegnanti di valore abbiamo in Italia (che si stanno impegnando con grande sforzo anche sul digitale per il bene dei nostri ragazzi). Ma è altrettanto vero che una larga parte del corpo docente ha seri problemi a imparare a vivere “nel” e “con” il digitale.
Con il risultato che, per colpa della tecnologia, dei mezzi a disposizione e dell’impreparazione di alcuni insegnanti, alcune scuole si sono trovate nell’impossibilità di fare lezioni in video, perdendo una grande occasione (per insegnanti, studenti e famiglie).Allargando lo sguardo sull’Italia intera e senza negare la ferita di chi ha problemi di mezzi (e non è una cosa da poco), il problema più importante che abbiamo come Paese col digitale è di approccio. E tocca tutti.
Perché anche chi tra noi vive circondato dalla tecnologia spesso la usa come fosse un gadget o un giocattolo. Qualcosa che serve a divertirci (a farci sentire “alla moda”) e a stupire i nostri amici. Così, il più delle volte ci accontentiamo di usarla al minimo. E il motivo più grande per cui ciò accade è che fondamentalmente siamo pigri e non vogliamo fare grandi (e, a volte, nemmeno piccoli) sforzi per imparare a usarla nel modo migliore. Che non significa solo conoscere tecnicamente il funzionamento di oggetti, apparecchi, app o social, ma capire come utilizzarli per crescere tutti al meglio, come persone, come comunità e come Paese.
Ovviamente il problema, quando ci accorgiamo che esiste, non siamo mai noi, ma gli altri. La colpa infatti è sempre degli altri. Sono gli altri che usano i social come fossero un grande bar pieno di gente un po’ alticcia che non tiene più a freno la lingua. Sono gli altri quelli che esagerano, non sanno, non capiscono o travisano di proposito i nostri pensieri. Sono gli altri quelli che non «studiano» e non si «applicano». Sono gli altri quelli superficiali e che fanno danni.E noi? Ovviamente, se noi non capiamo la tecnologia è solo perché non ci interessa o perché siamo impegnati in cose ben più importanti che impararla. C’è solo un piccolo problema: che «niente sarà più come prima» almeno nel digitale è una certezza. E se non vogliamo farci molto male, dobbiamo tutti fare il massimo perché ciò avvenga nel modo migliore. Perché, anche quando la tecnologia invade con forza le nostre vite e in parte le stravolge non sempre per il meglio, tutto ciò accade anche per colpa nostra. Di noi che saliamo a bordo di Ferrari tecnologiche dopo avere fatto soltanto la prima lezione di guida. E i risultati sono sotto gli occhi di tutti. Basta volerli vedere, per cambiare in meglio.